Cile: le ragioni delle proteste e le non-ragioni della repressione

Esattamente un anno fa mi trovavo a Santiago del Cile per ragioni di studio: stavo svolgendo un semestre accademico all’estero con il progetto Overseas, che non è altro che un Erasmus con mete extraeuropee. Vivevo proprio dietro Plaza Italia, la piazza in cui si concentravano – e si concentrano – i nuclei dei manifestanti e dalla quale, generalmente, partivano le marce.
Ho assistito a proteste contro la violenza sulle donne, a favore dell’aborto (in occasione del voto in Argentina) e a sostegno del popolo Mapuche, l’unico gruppo indigeno che la classe dirigente non ha (ancora) sterminato. In tutte queste occasioni condividevo la causa sposata dai manifestanti ma a volte avevo paura di partecipare: le proteste non di rado sfociavano in piccoli incendi, lanci di bombe carta, utilizzo delle biciclette del bike sharing come oggetti contundenti.
I partecipanti, allora come oggi, erano veramente arrabbiati, stanchi delle continue violazioni di diritti umani e decisi a lottare congiuntamente verso una direzione condivisa. Le forze dell’ordine, dal canto loro, alcune volte sono state costrette a difendersi e placare gli animi dei più facinorosi; altre volte, e lo dico per esperienza personale, sebbene la protesta fosse pacifica, cominciavano a sparare sulla folla con gli idranti o a gettare lacrimogeni lungo le strade.
Oggi, non solo i cortei sono repressi con la forza, ma pare che le persone detenute – tanto legalmente quanto illegalmente – dai carabineros cileni siano oggetto di violenza e torture. E a peggiorare la situazione è la distorta, se non assente, diffusione di informazioni a riguardo. Insomma, un clima da dittatura.
Ho quindi chiesto al mio amico cileno Esteban De Carolis, anche lui neolaureato in giurisprudenza, che aria si respira in piazza e come stanno vivendo i disordini in atto.

Quali sono le principali ragioni delle proteste?

Tutto è iniziato con un incremento del prezzo del biglietto della metro. Sono stati gli studenti fra i 14 e i 18 anni che, per protesta, hanno iniziato a non pagare il biglietto scavalcando i tornelli e aiutando altre persone a farlo, nonostante l’aumento non fosse per il ticket studente, ma per quello base. Era la settimana di lunedì 14 ottobre, ed il venerdì 18 è germogliata quella che è stata poi denominata “l’esplosione sociale” (“estallido social”): si sono succedute una serie di manifestazioni a catena che sono state duramente represse, contemporaneamente a saccheggi e incendi di locali commerciali in tutto il paese. In realtà, l’incremento del biglietto della metro rappresenta solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, poiché le ragioni delle proteste sono ben più profonde: disuguaglianza salariale, elevato costo della vita (simile a quello dei paesi europei ma con stipendi sudamericani), pessima situazione previdenziale (la media di una pensione standard si aggira attorno ai 110.000 pesos cileni, ovvero 125 euro), abusi delle grandi aziende, spesso colpevoli di colludere con la finalità di aumentare i prezzi nella totale impunità o subendo sanzioni insignificanti.

Quali misure ha adottato il governo per controllare i disordini?

La prima reazione è stata quella di dichiarare sia lo stato di emergenza costituzionale, che permetteva di dispiegare l’esercito nelle strade per il mantenimento dell’ordine pubblico, che il coprifuoco dalle 8 di sera alle 6 di mattina. Allo stesso tempo è stata applicata la legge di sicurezza interna dello Stato, la quale consente l’aumento delle pene per i delitti commessi in questi contesti di agitazione e sanziona alcune condotte “sediziose”. Per quanto riguarda le forze dell’ordine, la polizia ha utilizzato gas lacrimogeni e “pistole anti-disturbi” per far disperdere i manifestanti. Più di 200 persone sono state mutilate o hanno perso un occhio a causa dei proiettili sparati da queste armi, le quali – teoricamente – avrebbero dovuto essere coperte di gomma. Inoltre, in occasione delle svariate detenzioni avvenute durante la settimana più critica si sono susseguite violazioni ai diritti umani all’interno (e non solo) delle stazioni di polizia: nello specifico percosse, torture, abusi sessuali e trattamenti degradanti. Tutto ciò per mano di membri dell’esercito e della polizia. Rispetto alle richieste di fondo, il prezzo del biglietto della metro è rimasto invariato, la pensione base è stata aumentata ed è in corso un processo di modifica della Costituzione.

Pensi che i media stiano diffondendo informazioni errate o stiano omettendo di fornire notizie rilevanti?

L’attività dei mezzi di comunicazione è stata molto criticata per numerosi aspetti. Da un lato, è stato detto che, al principio, mostravano soltanto i saccheggi e le proteste violente, lasciando in disparte quelle pacifiche; dall’altro lato, che canali televisivi, radio e stampa disinformavano perché allarmavano su un probabile esaurimento delle risorse alimentari che di fatto non è mai avvenuto. In più, si è detto che i media hanno occultato la repressione delle forze dell’ordine, dal momento che non l’hanno trasmessa sui canali nazionali: infatti, la maggior parte dei video che testimoniano la violenza dei carabinieri è stata caricata sui social network dai cittadini e non dai mezzi di comunicazione ufficiali.
Per quanto riguarda le marce, ho avuto il tempo di partecipare solo ad una di esse perché a distanza di un mese avrei dovuto sostenere l’esame finale per poi laurearmi; ma, quest’unica manifestazione a cui ho preso parte è risultata essere la più massiccia finora: eravamo 1 milione e 300 mila persone fra le stazioni metro Universidad de Chile e Manuel Montt (proprio nel cuore di Santiago). L’epicentro delle manifestazioni era – e continua ad essere – Piazza Italia, che il popolo cileno ha rinominato “la piazza della dignità”. La verità è che questa marcia è stata talmente grande che la polizia non aveva molti mezzi per reprimerla. Ad ogni modo, sono passato varie volte dalla nuova “piazza della dignità” ed è una lotta costante fra i manifestanti e le forze di polizia. Molti militari dicono di temere gli “incappucciati”, i manifestanti che affrontano la polizia segnalati dal governo come delinquenti violenti e sovversivi; ma, dal mio punto di vista, ciò che più preoccupa è la pistola anti-disturbi dei carabinieri, che può renderti cieco per sempre, colpendoti indipendentemente dal fatto se ti trovi nella marcia o stai semplicemente passando lì vicino.
Esteban, con l’amaro in bocca, conclude la nostra chiacchierata via Skype così: “Come disse qualcuno una volta, ciò che distrusse il Cile non furono le proteste, ma la disuguaglianza.”
Ed è di disuguaglianza che parla anche il recentissimo rapporto di Amnesty International, all’interno del quale la ONG sottolinea che le indagini svolte sul territorio cileno hanno prodotto un risultato agghiacciante: si parla addirittura di “politica deliberata” di colpire i manifestanti.
Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe, ha dichiarato che le forze di sicurezza cilene sotto il comando del presidente Sebastián Piñera, agiscono con la deliberata finalità di colpire chi manifesta per disincentivare la partecipazione, ricorrendo all’atto estremo di praticare la tortura e la violenza sessuale ai danni dei protestanti.
Per capirci, diamo un po’ di numeri. Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani, almeno 5 persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e oltre 2300 sono state ferite: di queste, 1400 sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi (a causa delle pistole “anti-disturbi” di cui ci parlava Esteban.
La Procura ha registrato oltre 1100 denunce di maltrattamenti e tortura e 70 denunce di violenza sessuale a carico di pubblici ufficiali. Secondo i carabineros, nessun pubblico ufficiale è stato ucciso e vi sono stati circa 1600 feriti – 105 in modo grave – tra le forze di sicurezza.
E Amnesty International tutto questo l’ha documentato attraverso i suoi esperti, convalidando oltre 130 contenuti fotografici e video sull’uso non necessario ed eccessivo della forza. Oltre ai casi documentati, la ONG ha verificato oltre 30 contenuti audiovisivi in cui si vedono carabineros e soldati accanirsi ingiustificatamente e senza ragione apparente contro i manifestanti. Questo è accaduto nei confronti di persone già fermate e rese inoffensive, per sgomberare proteste pacifiche e persino contro bambini e adolescenti nelle città di Valparaiso, Viña del Mar, Antofagasta e Concepción.
Solo per citare qualche (tragico) episodio:
– Kevin Gómez, 24 anni, è morto il 21 ottobre a Coquimbo per, secondo il referto medico, “una ferita toracico-polmonare causata da più proiettili”. Secondo testimoni, un soldato ha improvvisamente aperto il fuoco contro l’uomo, che era privo di armi, senza preavviso e da breve distanza.
– La morte di Alex Nuñez, 39 anni, ad opera dei carabineros è stata la conseguenza di un pestaggio selvaggio. Alex stava attraversando una manifestazione per fare una consegna a Maipú, nella regione metropolitana di Santiago, quando è stato bloccato da tre carabineros che lo hanno gettato a terra e preso a calci alla testa e al torace. È morto il giorno dopo.
– A Curicó, José Miguel Uribe, 25 anni, è morto dopo che un militare gli ha sparato al torace. Stava prendendo parte a un corteo spontaneo di giovani che avevano temporaneamente bloccato la circolazione stradale. I soldati arrivati sul posto hanno iniziato a sparare contro chiunque. Secondo i testimoni oculari, nessun militare presente ha prestato soccorso a José Miguel.
Le violazioni dei diritti umani, i maltrattamenti e la violenza gratuita sono sotto gli occhi di tutti, quand’è che tutto ciò si fermerà e “piazza della dignità” tornerà a poter essere attraversata senza il rischio di rimanere mutilati?

Articolo già pubblicato sul “Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia” di lunedì 9/12/2019