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Caso Bellomo. Archiviata l’inchiesta milanese.

Il caso dell’ex Consigliere di Stato , Francesco Bellomo, ha destato negli ultimi anni sentimenti contrastanti nell’opinione pubblica, sia per il ruolo apicale rivestito dello stesso e sia per l’eccentricità del caso in concreto.
Nel 2017 inizia l’iter giudiziario di Bellomo, nelle Procure di Milano e di Bari.
La vicenda, difatti, sorge in seguito sorge in seguito a diverse segnalazioni inerenti a delle condotte perpetrate da Bellomo nei confronti di alcune sue giovani studentesse della scuola di preparazione all’esame di magistratura “Diritto e scienza”. Tali condotte consistevano, a detta degli interessati, in richieste alquanto particolari, anzi invasive della vita privata delle stesse studentesse.

Recentemente, il Gip Guido Salvini, ha accolto la richiesta dell’Ufficio di Procura di Milano, disponendo l’archiviazione dell’inchiesta sull’ex Consigliere di Stato Bellomo, indagato per i reati di violenza privata e atti persecutori.

Difatti, secondo il Gip Salvini, le condotte poste in essere da Bellomo non hanno rilevanza penale, in quanto non si ravvisano gli atti tipici delle fattispecie contestate, nello specifico le minacce e le molestie. Nonostante ciò,  il comportamento dell’ex Consigliere di Stato è stato definito dallo stesso Gip Salvini  “decisamente poco consono”.

Ebbene, per i non addetti ai lavori, il delitto di cui all’art. 610 c.p., rubricato come violenza privata, si configura qualora il soggetto agente, con un comportamento intimidatorio e violento, eserciti una coartazione sulla libertà di volere e di agire del soggetto passivo, così da costringerlo a tollerare od omettere una condotta determinata.

Difatti, tale fattispecie criminosa tende a garantire non la libertà fisica o di movimento della persona, bensì la libertà psichica dell’individuo, che si vede ingiustamente costretto a dover limitare significativamente la propria libertà di autodeterminazione.

Invero, il delitto previsto dall’articolo 612 bis c.p. ,rubricato come atti persecutori e comunemente definito “stalking”, si configura qualora la condotta definita persecutoria e la reiterazione degli atti considerati tipici della fattispecie, quali minacce o molestie, costituiscano autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio la loro reiterazione che ingenera nella vittima un progressivo accumulo di disagio. Difatti, il soggiacere del soggetto passivo a tali condotte, degenera in uno stato di prostrazione psicologica, tale da ingenerare nella vittima un perdurante stato di ansia o di paura o il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata da una relazione affettiva o una situazione di disagio  tale da costringere la vittima ad una significativa alterazione delle proprie abitudini di vita.

Ebbene, a prescindere dal prosieguo o meno delle vicende giudiziarie dello stesso Bellomo e dal fatto che le sue condotte siano o meno ritenute penalmente rilevanti, ciò che lascia perplessi è effettivamente il tenore delle richieste subite dalle stesse giovani aspiranti magistrate, richieste alquanto eccentriche che rientravano in un cosiddetto “codice di comportamento” , ideato, a detta delle stesse , da Bellomo.

E’ opportuno evidenziare che, sulla scia dell’onda mediatica scatenata dalla vicenda, si sia dato veramente poco peso ad un modus operandi  invasivo della sfera privata dell’individuo, che oramai dilaga nel nostro paese.

Difatti, la problematica non riguarda esclusivamente i “consigli sul dress-code”, come titolavano alcuni giornali, ma le vessazioni che purtroppo molti individui, sia uomini che donne, subiscono da chi promette loro un futuro roseo e senza ostacoli da un punto di vista prettamente lavorativo.

La libertà di autodeterminazione,  non è un concetto astratto, non riguarda esclusivamente la vita privata. Essa è una libertà che deve invadere l’intera esistenza dell’individuo, anche nell’ambito lavorativo.

Svolgere un qualsivoglia lavoro, manuale od intellettuale che sia, impone una certa serietà e un certo rigore a cui l’individuo deve attenersi, nel rispetto dei propri colleghi, datori di lavoro e della società in genere.

Nessuno ha il diritto però di prevaricare la sottile linea che divide la vita privata, neanche con mere scuse funzionali  ad un presunto avanzamento di carriera.

Il rigore morale ed intellettuale, deve essere mantenuto sia da chi riveste ruoli apicali, sia da chi svolge le mansioni più umili.

E’ evidente che  determinate condotte, a prescindere dalla loro rilevanza penale, sono da considerarsi estremamente deplorevoli.  Difatti, coloro i quali rivestono determinate posizioni privilegiate, dovrebbero mantenere un fermo rigore morale, senza scusa alcuna.