Lo scorso 14 gennaio è stato compiuto un passo in avanti verso la cosiddetta quarta rivoluzione industriale europea: in occasione della plenaria del parlamento UE, il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, ha approvato il progetto avanzato dalla Presidentessa della Commissione Ursula von der Leyen denominato “Green Deal”, che ha come obiettivo due mete graduali (e ambiziose):
1. Abbattere del 40% le emissioni inquinanti in Europa entro il 2030;
2. Giungere ad essere un continente climaticamente neutro, quindi a emissioni zero, entro il 2050.
Quali sono gli strumenti a sostegno del Green Deal?
Il primo è il Just Transition Fund – il Fondo di transizione giusta – che sarà finanziato a partire dal 2021 da 7,5 miliardi presi direttamente dal bilancio europeo. Altri 45 miliardi dovrebbero arrivare da InvestEu, lo schema per gli investimenti pubblici e privati che sarà gestito dal commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Il resto dei soldi nel Fondo li metterà la Bei, la Banca europea per gli investimenti.
L’altro bacino finanziario su cui si regge il neo-accordo climatico europeo è l’ulteriore somma di 900 miliardi, per un totale di mille miliardi, che arriveranno per la maggior parte dal bilancio europeo. Le restanti quote saranno procurate dai governi nazionali attraverso il co-finanziamento dei fondi europei e dalla seconda tranche di InvestEu.
In sintesi, si mira ad attenuare le conseguenze economiche e sociali della transizione all’economia verde, che dovrebbe comportare una progressiva riduzione del consumo di combustibili fossili e un passaggio a tecnologie meno inquinanti in tutti i settori.
E l’Italia?
La premessa da fare è che gli investimenti sostenibili programmati per i prossimi 10 anni coinvolgeranno non solo i Paesi chiamati a maggiori sforzi per disintossicarsi dalla “dipendenza da carbone”, ma tutti gli Stati membri.
Nello specifico, l’Italia punta a ad ottenere 4 miliardi di euro per quattro regioni critiche: Puglia e lo stabilimento Ilva, Sardegna, Piemonte e Lombardia. Ma l’accesso ai fondi non sarà automatico: gli Stati membri, per essere idonei a ricevere i sostegni finanziari, dovranno presentare piani per ristrutturare la propria economia e dettagliare i progetti a basse emissioni, i quali dovranno essere approvati dalla Commissione.
Cinque settori protagonisti della transizione green e cinque misure di intervento ad essi relative:
1. Clima – attuazione di un nuovo piano a tutela della biodiversità e delle foreste.
2. Energia – potenziamento dell’energia eolica offshore e delle altre fonti rinnovabili.
3. Edifici – ristrutturazione di abitazioni, scuole e ospedali e miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici.
4. Industria – adozione di una nuova politica industriale conforme all’economia circolare, decarbonizzazione e modernizzazione delle industrie ad alta intensità energetica, come acciaio e cemento.
5. Mobilità – più punti di ricarica per le automobili elettriche e riduzione del 90% delle emissioni di gas a effetto serra nei trasporti entro il 2050.
Ma non a tutti gli Stati è andata a genio questa decisione.
La Polonia, sebbene sia uno dei due Stati, insieme alla Germania, che riceveranno la fetta di investimenti più grande per via del loro elevato numero di regioni dipendenti dal carbone, ha rifiutato di aderire all’obiettivo di neutralità climatica per il 2050. Varsavia sembra essere preoccupata dai costi economici e sociali che il Green Deal comporterebbe, sostenendo che sistemi energetici ed economia siano ancora troppo dipendenti dal carbone e dalla lignite per raggiungere l’obiettivo prefissato.
La Commissione ha cercato di tranquillizzare gli scettici assicurando che i lavoratori che dovessero perdere il lavoro saranno aiutati per la riqualificazione. Ci sarà supporto per nuove infrastrutture, assistenza per la ricerca di lavoro, investimenti in nuove attività produttive e le regioni in cui cesseranno le attività esistenti saranno rigenerate.
Cosa ne penserà Greta Thunberg?