La scorsa settimana, durante una lezione di guida fuori porta con mio padre, sono andata nel paese di cui parte della mia famiglia è originaria. È un borgo piccolo piccolo, la strada per arrivarci è piuttosto stretta e piena di curve. È uno di quei posti in cui il tempo sembra essersi fermato e hanno trovato spazio solo qualche bar minuscolo, un emporio, un mini supermarket e una pizzeria.
Già, un emporio. Mi ricordo che da bambina si compravano lì i supersantos e i giornali, poi tutti a casa a giocare.
Le strade acciottolate, i palazzi che profumano di antico, gli anziani seduti al bar come in una fotografia. Non tornavo lì da forse due anni, eppure, il calore che ho provato appena sono arrivata, era lo stesso che sentivo dieci anni fa quando andavamo lì per la fine dell’estate.
Abbiamo rincontrato la coppia che si occupa di arare il terreno adiacente la nostra casa, e mi sono sembrate le stesse persone con cui chiacchieravo un tempo. Le mani callose, le zampe di gallina intorno agli occhi, lo sguardo incavato.
Un volto che parla da sé, raccontando della fatica della vita dei campi.
Posso affermare con certezza scientifica che i loro pomodori siano i più buoni di tutto il mondo, per non parlare del sugo, che ancora oggi padroneggia gli scaffali della mia cucina a Roma.
In quel paesello, in quella piazzetta, in quell’enorme e disabitate casa, affondano le mie radici.
O almeno una parte. In quel viale verde, in quel cortile con una quercia altissima, vive ancora una parte di me. Vive ancora quella bambina terribilmente irrequieta e un po’ capricciosa che va in bicicletta con le rotelle, che si punge con le spine delle rose, che va alla ricerca di animali selvatici.
Dunque non è un caso se, crescendo, ho conservato lo stesso entusiasmo che avevo da piccola, non è un caso se scoprire nuove cose, visitare nuovi posti, mi rende felice.
Mi è sempre piaciuto definire me stessa come una viaggiatrice, con la valigia sempre pronta, con il biglietto sempre in mano.
E in effetti, la voglia di scoprire, esplorare, andare oltre, mi è sempre appartenuta.
Ma il mio costante stare in movimento, mi ha reso una persona molto legata alle proprie radici, fiera di un passato che mi apparterrà sempre. I luoghi in cui sono cresciuta mi hanno reso la persona che sono, non potrei mai tralasciare questo dettaglio.
Così come adoro viaggiare e perdermi nel mondo, adoro andare indietro nei miei ricordi, riscoprirli ogni volta con una curiosità nuova, magari arricchita dai miei viaggi. Tutto nella vita è ricchezza.
Per questo, immagino il passato come fonte di ispirazione, le mie radici come punto di partenza.
Si può andare lungo e in largo, ma c’è sempre qualcosa di nuovo nel tornare a casa, luogo in cui – in un modo o nell’altro – saremo sempre noi stessi. Possiamo riscoprire i nostri piccoli successi, ma anche dove siamo caduti e abbiamo imparato a rialzarci di nuovo.
Come quando andavamo in bici per le prime volte.
È quel posto in cui conosci le persone fin da sempre, nel bene e nel male, in un modo spietatamente autentico.
Ho imparato solo crescendo il valore delle mie radici, e sono felice di aver scoperto quanto sia importante non dimenticarmi da dove vengo.
Aver rivisto quel paese, mi ha fatto realizzare che, ogni tanto, tornare fa bene.
È un rimedio efficace per curare le nostre ansie, rimetterci la testa a posto.
Riscoprire quei luoghi, mi ha fatto capire che in ogni parte del mondo, in ogni momento, guarderò le cose con gli stessi occhi, lo stesso sguardo che avevo quando per la prima volta scoprivo il mondo.
Sarò sempre quella bambina vivace, che non si ferma mai, curiosa del proprio passato, in attesa del proprio futuro.