Presi i biglietti con una settimana di anticipo. L’ora di coda in una (mal)frequentata ricevitoria di Torino tra slot machine e scommesse su qualunque cosa fosse dotata di due o quattro zampe, era valsa la pena. Fissai attentamente il biglietto. Avevo il posto nel settore adiacente alla zona degli ultrà, i quali, in assenza di curve, dal 2011 sono stati confinati nel settore Sud, arroccati tra il primo e il secondo anello.
Il giorno della partita non stavo più nella pelle, perciò mi recai allo Juventus Stadium con largo anticipo. Gli ultras, le cui fedine penali potrebbero coprire totalmente lo stadio da parte a parte, si erano già riuniti per preparare la coreografia e gli striscioni. Mi sedetti indisturbato al mio posto e mi addentrai senza indugio nelle pagine del quotidiano “JuveToro”, che una gentile ragazza con la pettorina fosforescente mi aveva porto all’ingresso del mio settore.
Confesso che era la prima volta che leggevo quei quattro/cinque fogli di giornale. E credo che sia stata anche l’ultima: rimasi stupito dalla quantità di critiche che i “giornalisti” avevano addossato alla squadra e all’allenatore Allegri. La squadra non stava, e non sta tutt’ora, vivendo un momento felice, ma alcune volte nel calcio, come nella vita, ci vuole più fede che raziocinio.
Non ricordo esattamente per quanto tempo rimasi immerso nel “JuveToro”. Venni ridestato dal frastuono della folla che, con grande mio stupore, mi aveva circondato. Circa trentacinquemila persone si erano riversate sugli spalti, ognuno con addosso qualcosa che richiamasse i colori della Juventus: sciarpe, cappelli, bandiere, maglie, felpe e gadget di ogni tipo venivano sfoggiati con orgoglio e speranza. Si erano impadroniti avidamente dei loro posti anziani e bambini, uomini e donne di ogni età. Una vecchia signora dalla grossa stazza saliva lentamente, rossa in viso, gli alti gradini; arrivò sbuffando e grondando, ma con uno sguardo felice: anche stasera poteva gustarsi i suoi beniamini.
Entrò in campo la squadra ospite, il Siviglia di Emery, che, proprio come la banda di Allegri, non sta conducendo un campionato all’altezza delle aspettative.
I supporters spagnoli, racchiusi in uno piccolo spicchio dello stadio, non erano altro che un gruppo ristretto di intrepidi e nulla poterono per sovrastare i fischi dei tifosi di casa verso i loro giocatori.
Si accesero gli altoparlanti dello Stadium; ululò al massimo del volume il ritornello “Thunderstuck” degli AC/DC. Un boato accolse i giocatori bianconeri. Lo speaker iniziò la conta dei ventidue titolari:
Juventus (4-4-2): Buffon; Barzagli, Bonucci, Chiellini, Evra; Cuadrado, Khedira , Hernanes, Pogba; Dybala, Morata.
Siviglia (4-2-3-1): Sergio Rico; Coke, Andreolli, Kolodziejczak, Tremoulinas; Krychowiak, N’Zonzi; Konoplyanka, Reyes, Krohn-Dehli; Gameiro.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando vidi la coreografia del Settore Sud, il quale si augurava un ritorno alla vittoria della Coppa dalle “grandi orecchie”. La partita poteva iniziare.
I capi ultras, in maniche corte nonostante il freddo pungente, con coraggio (o coscienza o con qualche litro di alcol nello stomaco) non risparmiavano un briciolo di energia nel gridare cori di incitamento o insulti.
Tutti gli occhi erano puntati verso Sami Khedira, campione del mondo sia con la sua precedente squadra, il Real Madrid, sia con la Nazionale tedesca di Loew. Giocatore vecchio stile, un incontrista che ha piedi educati e una discreta visione di gioco. Tutto il popolo bianconero non può che provare stima per un giocatore che ha deciso di rilanciarsi a Torino, dopo gli ultimi tempi madrileni, dove aveva potuto assaporare il campo solo sporadicamente. Gli infortuni lo hanno costretto ad esordire all’ultimo giorno di settembre e in lui si confida il talento in grado di cambiare le sorti di una stagione, che, a detta di molti, sembra già segnata.
La Juventus iniziò giocando un buon calcio, un po’ lento, ma senza dubbio migliore delle precedenti uscite. La squadra, complice la poca pericolosità degli avversari, prese fiducia. Il più vivace Cuadrado, l’anarchico che era sempre mancato alla Juventus di Conte. I tifosi erano timorosi che Khedira potesse farsi nuovamente male e fremevano, ma il tedesco non mollava un centimetro e affondava la gamba in ogni contrasto. Dybala, il ragazzo prodigio, pareva perdersi un po’ tra le maglie rosse, senza però perdersi mai d’animo.
La squadra, nonostante il discreto possesso palla, faticava a trovare la porta con imprevedibilitá. Ma ecco che la fede ebbe il sopravvento: cross di Barzagli, colui da cui meno te lo aspetti. La palla ruotó nel cielo lentamente. L’unico a staccare in area fu Morata. L’impatto avvenne quasi al rallentatore. Il portiere, immobile, non poté nulla. Non un gran gol, ma chi se ne importa: lo Stadium esplose di felicitá. Lo speaker, supportato dai tifosi urlò il nome del giovane attaccante spagnolo. 1-0 e via negli spogliatoi.
Le formazioni scesero in campo con gli stesso effettivi e la musica non cambiò. Dominio bianconero, senza, però, altri acuti. Fino al 87º, quando con un contropiede di catenacciara memoria i torinesi colpirono. Dybala saltò un uomo, non un secondo, ma la palla rotolò tra i piedi di Zaza, subentrato nella ripresa, che corse a perdifiato e infiló sotto le gambe Sergio Rico. I tifosi meridionali trovavano un nuovo idolo, come fu Schillaci di Palermo. Lo stadio tornò a ruggire e saltare come un anno addietro, quando solo i tre ninos sudamericani avevano infranto il sogno europeo. Il ragazzo di Policoro si sbloccò liquidando un Siviglia troppo diverso dal gemello vincitore dell’Europa League. 2-0 partita chiusa, qualificazione a buon punto.
Per quanto riguarda chi vi scrive, tornò a casa senza voce per i troppi cori cantati e con un evidente ferita alla mano, causata da un’esultanza troppo poco “contenuta”.
Vi lascio con il suo coro preferito:
“Sono un tifoso bianconero
ed amo soltanto due color
Girando per lo stivale intero
La Juve per sempre sosterrò”