Giorgio, 27 anni.
Anita, 24 anni.
14 dicembre 2018
Splende il sole su Roma oggi, via Ottaviano è affollata, la gente corre in preda al panico per le imminenti festività Natalizie, cercando di trovare il regalo giusto per parenti e amici, sfruttando le ultime occasioni. Mancano solo pochi giorni a Natale, ma mai mi sarei aspettato di poter conoscere una persona come lei. Anita è entrata nella mia vita da qualche settimana. Non l’ho mai incontrata ancora, ma da come mi scrive e da quando Facebook è diventato il nostro primo appuntamento e What-sapp la nostra prima lettera d’amore, tutta la mia vita è cambiata.
La aspetto di fronte l’uscita della metro. Ho un cappotto nero lungo per l’occasione, scelto dopo averlo cambiato almeno dieci volte. Lo spazzolo con la mano, con ansia, sperando anche che il leggero vento freddo di stagione non mi scompigli troppo in capelli e che il mio alito non abbia delle note troppo forti. I pranzi di mia madre, siciliana di provenienza, sono difficili da gestire, troppo a volte.
La folla esce di fretta; uno dei treni deve essere arrivato da pochi minuti, o secondi addirittura.
Eccola. Appare come in foto. Indossa un cappotto celeste, uno di quelli che fa tornare indietro il tempo, negli anni 20, in una Parigi uggiosa ma dalla nuance elegante. Un morbido cappello di stoffa nero sulla testa. Mi sorride.
Un ciuffo di capelli le copre la faccia, lo toglie con estrema eleganza; si avvicina, toglie un guanto, mi porge la mano per presentarsi. Mi dirigo verso di lei per rispondere al saluto.
Sorrido. La tiro verso di me. La bacio.
14 febbraio 2019
I due mesi più belli della mia vita. Una storia fatta di sorrisi, condivisione, ore passate insieme. La porterò in un ristorante che amo stasera. È San Valentino, ma per noi importa stare insieme, non la finta festività.
Mangiamo con gusto, con calma, con il sorriso negli occhi e la fame nel cuore.
Torniamo a casa. Facciamo l’amore. Ci addormentiamo.
14 aprile 2019
Ho fatto un incubo. Perdevo il lavoro e avrei dovuto trasferirmi a Milano. Anita è già sveglia da un po’ e la trovo in cucina, vestita di tutto punto, con la borsa vicino al tavolo colma di libri, codici sparsi in giro, l’ultimo esame da dare e delle uova bruciate nel piatto, dovute alla troppa ansia. La tengo stretta da dietro, sento il suo cuore a mille; respira con affanno. La abbraccio. Fà come se dovesse dire qualcosa, ma si ferma, alza lo sguardo, mi cinge il viso e mi dice “Ho paura”, con quegli occhi che mi fanno perdere il respiro. Le sorrido dolcemente, la bacio sulla fronte, ma non so bene cosa dire. Le dico “andrà bene, sii positiva”. Mi saluta, si avvia verso Roma Tre, non lontana da casa mia. La guardo chiudere la porta e continuo a sperare.
14 giugno 2019
Abbiamo litigato. Il primo litigio. Dovuto all’ansia, alla preoccupazione prima della laurea. Mi sento uno schifo. Mi manca parlarle e poterla abbracciare. È a casa della sorella, zona Castelli; “ho bisogno di stare un po’ da sola” aveva detto prima di sbattere la porta.
Le ho appena inviato un messaggio. Grazie Signore per WhatsApp. Lo legge. Non risponde.
Ricevo un messaggio dal mio collega e migliore amico, Alberto, per ricordarmi che oggi si inizia a lavorare alle 14.30. Lo chiamo. Gli racconto tutto. E poi, il consiglio “Dai Giò, stai su, ti voglio positivo”. Sorrido. Andrà meglio domani.
14 agosto 2019
Questa è l’estate di Anita. Siamo fuori ogni sera, da inizio luglio, ma da oggi sono in ferie. Si parte per Parigi, il mio regalo per il suo 110 e lode. Siamo in fila, mano nella mano, fin quando mi lascia con la scusa di andarsi a incipriare il naso. Attendo, fin quando ricevo un messaggio: “ti aspetto in bagno. Mi manchi”. Tra carrelli, valigie, bambini sparsi, percorro Roma Ciampino alla velocità della luce.
Ci ricomponiamo e ci rimettiamo in fila. Mi guarda con imbarazzo. Questa giornata, è iniziata con gioia e tanta positività.
14 ottobre 2019
35 anni di matrimonio dei miei genitori. Mio fratello Stefano mi prende alla sprovvista e di fronte tutti i parenti esclama: “in arrivo la futura sposa di Giorgio. Angela”.
“Anita” ripeto guardandolo con sufficienza.
Mia madre è felice, fiduciosa. Io sudo.
Mio padre è sul divano a guardare una partita di calcio under 21, Armenia contro Italia. L’Italia sta perdendo, con un gol di svantaggio.
Bussano alla porta. Anita risplende come sempre, dei fiori rossi in mano, che le coprono una parte del viso, una voce sottile mentre entra con gli sguardi addosso ed è subito “GOOOOOL”. Mio padre ritorna tra noi con il pareggio dell’Italia.
La serata procede con tranquillità, con mia madre che ogni tanto racconta delle storie sulla mia gioventù, da quando alle scuole elementari ho sempre amato cantare le canzoni dei Pooh che ascoltavo a casa dei nonni, a quando al liceo, avevo un orrendo taglio di capelli.
Prendo Anita, dopo il dolce, la porto in camera mia, quella in cui sono cresciuto prima di trasferirmi. La bacio. Le dico che la amo. Ricambia. Mi bacia.
1 dicembre 2019
Ho avuto due settimane di febbre continua. Ancora faccio difficoltà a riprendermi. Penso sia stato il cambio repentino delle temperature. Il medico, dopo giorni di sofferenza, mi ha prescritto una cura antibiotica, diversi farmaci e delle analisi del sangue.
Non ho paura degli aghi e qualche giorno fa, infatti, l’infermiera è stata bravissima. Tra risate e racconti riguardanti me ed Anita a Parigi, non mi sono accorto di nulla.
Arrivo a casa. Il cellulare suona. Rispondo. È il dr. Di Pietro. Mi dice se posso arrivare da lui in studio.
È domenica.
Mi rimetto sulla mia Clio del 2012, sfrecciando nel traffico di Roma. Non ho avvisato nessuno.
Mia madre è partita con mio fratello per un weekend a Milano.
Mio padre sarà sul divano.
Anita con la famiglia.
Busso.
Il dr. Di Pietro mi apre con convivialità. Non ha il camice, ma ha sicuramente qualcosa da dirmi.
“Sei positivo” mi dice. Ho sempre amato dare quel consiglio, riceverlo se necessario, ma quando quelle stesse parole cambiano completamente la tua vita, non hanno poi lo stesso sapore.
Questa volta, il sapore è molto amaro. Ho l’HIV.
“si cura efficacemente, ma non è guaribile”. “indebolisce il tuo sistema immunitario, velocizzando il tuo orologio biologico”. I volantini sul comodino vicino al letto urlano a squarciagola.
Anita sta provando a chiamarmi. Rispondo tentando di mascherare il pianto, abbozzando una risata. Ricambia. Cerco di farmi sentire felice, senza dire cosa ho appena scoperto.
“Ti amo perché sei così”, mi dice “in ogni situazione, sei sempre così positivo”.
Giorgio e Anita non esistono.
Giorgio e Anita, però, si amano.
Giorgio ha paura.
Anita ha il diritto di sapere.
Anita ha paura.
Giorgio è positivo.
Giorgio avrebbe potuto prevenire, ma adesso non è solo.
Anita è negativa, ma non lo è d’animo.
Voi che leggete, amate voi stessi.
Voi che leggete, amate chi amate, ma ancor prima amate voi stessi.
Voi che leggete, amate la vita.
Voi che leggete, ricordate che prevenire è fondamentale.
Voi che leggete, fate il test. 5 minuti, valgono una vita intera.