Su RaiPlay la docuserie in sei puntate sull’epopea della Juvecaserta
Ci vuole talento per sognare in grande, a maggior ragione quando vivi in una piccola città di provincia. E così, anche un tabellone disegnato sul muro di un bar può mettere le ali a due ragazzi che hanno il basket nelle vene. Ferdinando e Vincenzo sono due adolescenti casertani che, dopo la scuola, si dedicano anima e corpo alla palla a spicchi. Entrambi vengono notati da un impiegato del Comune che lavora nel settore giovanile della Juvecaserta, la società di basket fondata negli anni Cinquanta dai fratelli Santino e Romano Piccolo. Entrambi hanno voglia di emergere, nonostante le resistenze del padre di Nando – un severo idraulico-elettricista convinto che il figlio dovesse seguirlo al lavoro – e lo scetticismo di Biagio Esposito, convocato a scuola dai professori che non riuscivano a capacitarsi dell’ossessione di Enzino per la palla a spicchi.
Dalla palestra della ragioneria al palazzetto di Viale Medaglie d’oro: la primogenitura di una storia di successo raccontata da Gianni Costantino nella docuserie Scugnizzi per sempre, trasmessa su Raidue a fine agosto e oggi disponibile su RaiPlay. Gli inizi tormentati di una società che faticava addirittura a trovare uno sponsor, poi l’arrivo del mecenate Giovanni Maggiò, che trasforma la Juvecaserta in una potenza del basket italiano. La società bianconera comincia a pensare in grande quando Maggiò porta in città il commissario tecnico della Nazionale jugoslava Bogdan Tanjevic. Etica del lavoro, impegno e sacrificio: parole d’ordine che risuonano fin dal primo, massacrante ritiro precampionato dell’estate 1982. Due settimane tra le montagne bosniache per temprare lo spirito degli scugnizzi, tra i quali il 15enne Nando Gentile, non ancora «l’uomo dell’ultimo tiro», ma tanto, tanto promettente.
La Juvecaserta ha tuttavia bisogno di un campione per vincere il campionato di Serie A2: la scelta cade su «un brasiliano che segna e piange», Oscar Schmidt. Una micidiale macchina da punti che guida i bianconeri alla promozione in A1 nella primavera del 1983. Un capolavoro che si aggiunge all’altra, grande intuizione dell’imprenditore di origini bresciane: costruire un palasport moderno e funzionale in appena 100 giorni. Il Palamaggiò diventa «La Reggia del basket», maestosa e imponente quasi quanto la residenza vanvitelliana. Un’arena infuocata in cui è difficilissimo vincere, anche per le squadre d’élite del nostro basket. Nel corso degli anni ’80, Caserta abbraccia campioni su campioni: l’uruguaiano Horacio “Tato” Lopez, il bulgaro Georgi Glouchkov, il primo europeo a giocare in NBA. E poi un eccelso difensore come Sandro Dell’Agnello, che ebbe persino il privilegio di stoppare in amichevole un certo Michael Jordan.
I due fari del quintetto bianconero, però, sono sempre loro: Nando ed Enzo. Il primo debutta in Serie A1 nell’ottobre del 1983 a Cantù, facendo impazzire un intoccabile come Pierluigi Marzorati, il secondo entra in prima squadra nella stagione 1984/85. La banda Tanjevic comincia a stupire la critica e gli appassionati: dopo aver sfiorato la Coppa Italia nel 1984, arrendendosi di misura ai campioni d’Italia della Granarolo, Caserta conquista due anni dopo la prima finale-scudetto della sua storia contro la Simac Milano allenata da Dan Peterson. Una sfida all’apparenza impossibile per i bianconeri, che tuttavia lottano alla pari con i vari D’Antoni, Meneghin, Premier e Riva fino alla risolutiva gara-3, persa al PalaTrussardi. Il primo passo per emergere e, soprattutto, per guadagnarsi il rispetto e la considerazione di tifosi e addetti ai lavori. Neppure il cambio di timoniere – con la promozione del vice Franco Marcelletti al posto di Tanjevic – rallenta il processo di crescita della Juve. Un brand così riconoscibile che persino grandi aziende come Mobilgirgi, Snaidero, Indesit e Phonola accettano di sponsorizzare la squadra.
La morte prematura di Giovanni Maggiò nell’ottobre 1987 è un colpo durissimo per la piazza e per la società. Tuttavia, un’avventura così bella ed esaltante non può finire così presto. Tocca dunque ai figli Gianfranco e Ornella prendere il comando del club. Che, dopo tante occasioni perse d’un soffio, si regala il primo trofeo della sua storia: la Coppa Italia 1988. Eppure, agli occhi di molti, la Juvecaserta è ancora un’incompiuta: le troppe finali perse – come quella di Coppa delle Coppe contro il Real Madrid nel 1989 – impongono un cambio di rotta. Via gli idoli Schmidt e Glouchkov per fare posto agli americani Shackleford e Frank. L’azzardo suscita polemiche e contestazioni, ma Caserta ricomincia il suo volo. Fino all’indimenticabile gara-5 della finale-scudetto 1991 vinta in casa della Philips Milano, nonostante l’infortunio a Esposito a metà del secondo tempo. Sarà proprio il “fratello” maggiore Nando Gentile a portare gli scugnizzi casertani nella storia. Da campione vero.