Il Rapporto Svimez 2019 è un resoconto sullo stato dello sviluppo del Mezzogiorno italiano preparato dall’associazione per lo SVIluppo dell’industria del MEZzogiorno.
Scopo di tale associazione è quello di proporre concreti programmi di azione e di opere finalizzati a promuovere lo sviluppo economico del centro-sud Italia.
L’ultimo rapporto presentato ha evidenziato, una volta di più, come il divario tra il Centro-Nord ed il Mezzogiorno, in termini di sviluppo socio-economico continui, inesorabilmente, a crescere.
Tra i dati più allarmanti emersi vi è il gap occupazionale che nella decade 2009-2019 è aumentato di ben due punti percentuali (dal 19,6% al 21,6%).
Sono infatti quasi 3 milioni i posti di lavoro che separano il settentrione dal meridione e, prendendo in esame solo il primo semestre di quest’anno, il Centro-Nord ha creato circa 137.000 posti di lavoro, nel Mezzogiorno, al contrario, si contano 27mila postiin meno.
In questo contesto, il reddito di cittadinanza viene giudicato “utile” ma, allo stesso tempo, la Svimez tiene a chiarire che l’impatto di questo contributo non solo sia “nullo” in termini occupazionali ma, al contempo, “invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”.
A tal riguardo, si segnalano i dati secondo cui il RdC abbia incentivato significativamente il lavoro in nero al Sud.
Questo perché, probabilmente, il contributo è stato emesso ed elargito ai cittadini senza che prima venisse predisposto l’apparato amministrativo necessario a vigilare sull’esatta applicazione della normativa di riferimento (i Navigator non sono ancora entrati correttamente in “funzione”)
Questa, però, non è l’unica nota dolente che emerge dal Rapporto.
Vi è un ulteriore indice che evidenzia il divario tra Nord e Mezzogiorno: il Pil.
La Svimez ha infatti chiarito come il Sud, nel 2019, sia entrato in “recessione”, con un Pil stimato in calo dello 0,2%. Nello stesso periodo, invece, il Centro-Nord vede una crescita dello 0,3%. Fortunatamente il Rapporto ’19 prevede che nel prossimo anno il Mezzogiorno vivrà una “debole ripresa” attestandosi ad un + 0,2% ma il gap con Settentrione ed Europa continuerà ad ampliarsi.
Il dato che, però, ha destato maggiore scalpore è relativo a questioni demografiche:
Il Mezzogiorno continua a perdere giovani fino a 14 anni (-1.046 mila) e popolazione in età da lavoro da 15 a 64 anni (-5.095 mila). Le ragioni sono da ricercarsi sia nell’allarmante calo delle nascite che nella continua emorragia migratoria.
Per ciò che concerne la crisi delle natalità è l’Italia intera a soffrirne, raggiungendo, nel 2018 un “un nuovo minimo storico delle nascite”.
La vera novità evidenziata dal rapporto è, però, “che il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli”.
Per ciò che concerne, invece, il fenomeno migratorio, questa “nuova” ondata riguarda moltissimi laureati, e più in generale giovani, con elevati livelli di istruzione, molti dei quali, una volta acquisite elevate competenze, non tornano più.
Dall’inizio del 2000, infatti, hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati e le previsioni, a riguardo, sono critici.
Da questi dati emerge chiaramente, in tutta la sua dirompenza, una chiara crisi demografica che preoccupa (e non poco) in termini di ricambio generazionale le cui ricadute sull’economia del nostro paese sono inimmaginabili.
Un paese spaccato in due in termini di attrattiva, opportunità di lavoro, crescita socio-culturale, sviluppo tecnologico è destinato ineluttabilmente a morire.
Se tutti i giovani altamente formati “scappano” dal Sud (per ragioni comprensibilissime) lo fiamma necessaria alla ripresa dei nostri territori rischierà di spegnersi.
Tra le soluzioni suggerite da Svimez per la ripresa dell’economia del Mezzogiorno un primo forte appiglio è da ricercarsi negli investimenti pubblici.
La realtà dei fatti, però, racconta un’altra triste storia. Alla risalita di quelli privati, infatti, fa eco un crollo degli investimenti pubblici: nel 2018, stima la Svimez, la spesa dello Stato in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi, nello stesso periodo al Centro-Nord è cresciuta da 22,2 a 24,3 miliardi.
Ancora, secondo il Rapporto del 2019, un’altra via per rilanciare il Meridione è trasformarlo nella “piattaforma verde” del Paese.
Ed infatti, “La bioeconomia meridionale si può valutare tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti a un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale”, stima l’associazione.
La Svimez, infine, sottolinea l’urgenza di rendere cogente la clausola del 34% degli investimenti ordinari al Sud, visto che nel 2018 mancano nel Mezzogiorno circa 3,5 miliardi di investimenti. Secondo l’associazione per lo SViluppo del MEZzogiorno “l’applicazione della clausola del 34% determinerebbe un’accelerazione della crescita del pil meridionale dello 0,8%, riportandolo ai livelli di crescita del Centro- Nord”.
Quanto emerso dal Rapporto Svimez 2019 fotografa una situazione quasi allarmante del Mezzogiorno Italiano.
Un Centro-Sud sempre più indietro e sempre più solo, soffocato da una evidente mala gestio della cosa pubblica e da una violenta miopia del Governo centrale nonché da un malcelato scarso interesse dei suoi cittadini.
I dati sono inequivoci, se lo Stato non inizierà ad attuare delle politiche serie finalizzate a creare le condizioni perché il Mezzogiorno possa esprimere tutto il suo immenso potenziale così da creare le condizioni in cui possano prosperare le opportunità di lavoro; se noi cittadini non prenderemo piena coscienza e consapevolezza del ruolo che ognuno svolge all’interno del sistema economico-sociale, in meno di 50 anni il Mezzogiorno di Italia è destinato a morire.
Anche in questo, il punto di non ritorno è vicino…dipende da noi, da tutti noi.