Esiste una teoria economica molto affascinante che racconta come, talvolta, chi ha apparentemente più ricchezze sia in realtà classificato come il più povero di tutti. In questo caso non si parla di persone, ma di territori e la teoria che spiega questo complesso sistema che crea una scala gerarchica decidendo che l’Occidente sia ricco e il resto del mondo sia volutamente lasciato a se stesso prende un nome che sa di mistero e bellezza: la maledizione delle risorse.
È una teoria polito-economica creata da Richard Auty nel 1993, ripresa in tempi più recenti dal noto economista Jeffrey Sachs, che nasce per spiegare come sia possibile che paesi giudicati del Terzo Mondo come Africa, India o alcune zone del Sud America, non solo siano in realtà territori che contengono i bacini minerari più ampi e ricchi del mondo, ma che le loro risorse siano determinanti e necessarie per la crescita economica di altri Paesi, fatta eccezione per il loro sviluppo interno.
In Africa e in Brasile ci sono bacini minerari di ogni sorta che contengono risorse di materie prime quali oro, rame, manganese, coltan, petrolio e diamanti. Sono tutti gli elementi necessari alla base di oggetti che noi usiamo quotidianamente e non ci chiediamo come quelle componenti possano essere assemblate per esserci utili né tantomeno ci chiediamo da dove derivino quei materiali. Il coltan, ad esempio, è un minerale presente in particolare nella Repubblica Democratica del Congo che ne detiene l’80% delle risorse a livello mondiale, come anche accade in Brasile sebbene in parte minore. Nel Sud Africa o in Liberia ci sono poi le più grandi miniere di diamanti che arrivano ai nostri anulari, appesi alle nostre orecchie o al nostro collo sotto forma di pregiati e ricercati gioielli.
Dietro la creazione di questi oggetti ci sono percorsi lunghissimi che le materie prime devono intraprendere, attraverso vie illegali e circuiti di mafia internazionale che ne permettono l’accesso al libero mercato con una facilità estrema. Basti pensare che il coltan è l’elemento principale di tutti gli strumenti Hi-tech, è la materia che compone la batteria e ne determina la durata. Se proviamo a pensare anche solo a quanti strumenti tecnologici abbiamo in casa potremmo avere una vaga idea di quanto possano essere prolifiche le miniere di questo materiale. Stesso discorso vale per i diamanti, denominati anche come “Blood Diamonds”, “diamanti insanguinati” perché vengono tirati fuori da profondi cunicoli sotterranei da persone disposte anche a morire soffocate pur di avere la paga minima e portare il cibo a casa. Parliamo di 1-2 dollari al giorno per 12-14 ore di lavoro, è questo lo stipendio medio. Se pensiamo che lo stesso oggetto lo compriamo in gioielleria a partire da circa 500€, fa davvero riflettere.
Ecco perché queste risorse vengono definite maledette: non basteranno mai a sfamare l’intera popolazione di un continente, non basteranno mai alla realizzazione di qualcosa che sia definitivo e ultimo perché ci sarà sempre un modello nuovo da sperimentare che vorremo acquistare. Popoli poverissimi che non hanno strutture politiche e sociali per poter sostenere la creazione di un meccanismo economico interno che possa portare loro profitto e crescita. Non è casuale che territori così ricchi restano sempre in coda alle fila del mondo, è solo il risultato di scelte politiche ben oculate da parte di chi ha il potere di scegliere, da parte di cha la possibilità di comprare e vendere, in altre parole da parte di tutto l’occidente ricco del mondo.
Il 16 maggio è stata la giornata del cosiddetto “overshoot”, letteralmente significa “superamento”: abbiamo esaurito tutte le risorse naturali di cui avremmo potuto disporre in un anno intero. Questa notizia ci è sembrata una cosa folle, ci siamo sentiti al limite della sopravvivenza, ci ha dato l’idea della fine del mondo, della possibilità che qualcosa potesse profondamente cambiare nelle nostre abitudini di vita, forse abbiamo persino avuto il timore di poter essere noi il terzo mondo del domani…ma questa paura quanto è durata? Il tempo di capire cosa significasse il termine overshoot, probabilmente. E poi null’altro, non ci riguarda più. In alcuni luoghi della Cina, dell’Australia e dell’India le risorse ci sono, sono quasi infinite, eppure lì vivono come se non le avessero mai avute. Quanta differenza può unire questi continenti separati da una striscia di terra e mare? E quanto la ricchezza e la povertà dipendono proprio dall’esistenza dell’uno rispetto all’altro?
La maledizione delle risorse rappresenta un circolo vizioso che produce con rapidità sempre maggiore creando l’illusione che la presenza di minerali sia infinita, di contro l’overshoot definisce l’esaurimento di queste ultime, nonostante il loro uso ci sarebbe dovuto bastare per l’intero anno corrente. Due concetti opposti che si tengono in piedi l’uno grazie all’altro: laddove le risorse finiscono, ne arrivano subito pronte da Paesi che le possiedono nonostante questo implichi il loro costante impoverimento sempre più estremo. Una catena che non si spezza, solida e molto intricata, quasi impossibile da sbrogliare. Due teorie economiche che si riflettono reciprocamente e raccontano di un equilibrio che unisce luoghi così lontani ma così vicini. Due mondi socioeconomici paralleli e intersecati, una lotta continua tra dare e avere, tra ricchezza e povertà, tra sopravvivenza e consumismo. Eppure, nel giorno dell’Overshoot, anche se solo per un secondo, in molti di noi una sensazione nuova e febbrile ci ha attraversato, violenta e sconosciuta: per la prima volta abbiamo sentito che i poveri potremmo essere noi.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni