Di Marilù Greco
Quanti rischi siamo costretti ad affrontare nel corso della nostra vita? Ogni scelta che anche inconsapevolmente adottiamo è una scommessa;ogni scommessa è una sfida;ogni sfida è un rischio. La domanda che sorge a questo punto spontanea è: quanto decidiamo di rischiare? Se è vero che molti sono i rischi che involontariamente si interpongono nel nostro percorso,ce ne sono altri che scegliamo,che decidiamo di affrontare. O cerchi la sfida o è lei che trova te: troppo agevole tirarsi indietro, continuando a restare nel tiepido tepore precedente;troppo superficiale evitarla magari facendo leva su motivazioni di autoconvincimento del tipo “non sono capace”; troppo semplice prevedere l’esito a cui porterà. E’ una sfida.
La mia ultima sfida ha il nome di Model United Nations, progetto che si propone di realizzare annualmente una simulazione ONU, presso la sua sede a New York, riservato a studenti universitari provenienti da ogni parte del mondo; e di sfide ne comporta tante. L’incerto esito del test di accesso, l’ostacolo della lingua, l’osticità dei temi affrontati (che spaziano dal problema delle armi chimiche all’implementazione della salute delle donne), fino ad arrivare alla oggettiva difficoltà, nelle trattative con i rappresentanti degli altri Stati, di raggiungere gli obiettivi prefissati, sempre con diplomazia. Già dal momento in cui mi sono iscritta, però, sapevo che, fra tutte, la più grande sfida sarebbe stata quella di parlare in pubblico, di fronte ad una platea di gente pronta ad analizzare ogni piccolo gesto, ogni movimento, ogni singola parola ed espressione. Sei lì, fermo davanti al palco, in attesa che sia pronunciato il tuo nome,diviso tra la voglia di scappare lontano e la prefigurazione di eventuali possibili sciagure che potrebbero accadere. Il discorso preparato a casa con cura, è oramai un ricordo evanescente. E’ il tuo turno: senti pronunciare il tuo nome e con una strana palpitazione, ti dirigi, con la mente affollata di idee e di pensieri verso il ripiano. Prendi il microfono,ti accorgi che tutti ti guardano e cominci a pensare, nel panico: dove guardo? Destra o sinistra? Quella persona che mi guarda in seconda fila a cosa starà pensando? Con la bocca asciutta cominci a pronunciare le prime parole, che suonano diverse rispetto a quelle che ripetevi a casa davanti allo specchio. Con tuo immenso stupore, però, cominci a notare che l’uditorio ti guarda e ti ascolta, più o meno attentamente, e, seppur lentamente, cominci finalmente a rilassarti e a prendere aria. Improvvisamente, una parvenza di infallibilità ti avvolge. Una sensazione forte, simile all’onnipotenza e vicina all’immortalità: hai superato la tua sfida.
Molte volte infatti, la paura di non essere all’altezza, di essere giudicati, ci imprigionano in una immobilità assoluta: infida, perché impedisce lo sviluppo della nostra persona; ingannatrice perché, spingendoci a focalizzare l’attenzione sugli altri, ci impedisce di comprendere che, in definitiva, ogni sfida, è solo con noi stessi. La mia ultima sfida mi ha insegnato questo: probabilmente quando avrò eseguito il mio public speaking, avrò fatto molti errori, magari blaterato, e usato gli intercalari più fastidiosi: ma alla fine che importa? So solo che adesso, quando devo leggere una cosa in pubblico non sono più agitata come prima, che tramite questo progetto ho conosciuto molte persone interessanti, modi diversi di vivere e di pensare e mi ha permesso di visitare una città unica come New York. Quando una paura, un’angoscia, l’incubo del fallimento ci attanaglia, anche con un po’ di incoscienza forse, conviene sfidarlo; in definitiva non aveva ragione Churchill quando diceva che “il successo è l’abilità di passare da un fallimento ad un altro senza perdere l’entusiasmo?”