Ebbene, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini si è sbagliato di nuovo.
Questa volta a sconfessarlo è stato il Consiglio di Stato (il secondo grado della giustizia amministrativa), che sulla scia del parere positivo del Tar Calabria di un anno fa, ha confermato l’annullamento del provvedimento che aveva escluso il comune di Riace dallo Sprar (Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati).
Ma prima, una breve cronistoria per capire gli antecedenti di questa decisione.
Nel 2018 il leader della Lega ordinò la chiusura di tutte le strutture di accoglienza e di interrompere tutti i progetti Sprar nel piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, Riace, motivando tale provvedimento sulla base dell’emersione di una serie di irregolarità di natura amministrativa.
Ebbene, il Consiglio di Stato ha stabilito che il Ministero dell’Interno all’epoca decise di agire quanto meno troppo in fretta, senza dare la possibilità all’amministrazione di sanare eventuali mancanze o irregolarità, peraltro neanche puntualmente contestate o segnalate. Anzi – segnalano i giudici – il Viminale non si sarebbe neanche disturbato ad inviare una diffida. Nonostante questo, a pochi giorni dall’arresto dell’allora sindaco Lucano, travolto dall’inchiesta della procura di Locri che lesse nel borgo dell’accoglienza un sistema criminale, il ministero di Salvini dispose il trasferimento dei migranti, posti tutti davanti ad una scelta: ricollocazione o rinuncia al circuito dell’accoglienza. E non poteva farlo.
È lo stesso Consiglio di Stato, dopo un’attenta opera di monitoraggio e controllo, a sottolineare «che il “modello Riace” era assolutamente encomiabile negli intenti ed anche negli esiti del processo di integrazione». È evidente, quindi, che in quell’occasione il ministero dell’Interno ha agito su basi esclusivamente politiche, con l’obiettivo di demolire un’esperienza virtuosa per screditarne il principale attore.
Riace rimarrà dunque all’interno dello Sprar, per la gioia di Mimmo Lucano e per il dispiacere del suo salviniano successore, ovvero Antonio Trifoli, personaggio che ha fatto – negativamente – parlare di sé più volte.
Tuttavia, Lucano, che di quel borgo era sindaco, nonostante la vittoria giudiziaria, da giorni non nasconde l’amarezza e la rabbia. “Volevano distruggere Riace e ci sono riusciti” dice a chiunque gli chieda un commento.
E in effetti, ancora una volta, una presa di potere politica ha travolto ciò che di buono un’amministrazione locale aveva costruito, ma non è riuscita (né riuscirà) ad abbattere la comunità ampia e trasversale di sostenitori – giuristi, intellettuali, attivisti, artisti, avvocati, medici, cooperanti, ma soprattutto semplici cittadini – nata attorno alla figura di Mimmo Lucano.
Che poi, qual è la filosofia di vita che ha attirato l’ammirazione di così tanta gente?
Sin dal suo primo mandato come sindaco di Riace (nel 2004), e ancor prima in qualità militante del movimento studentesco, Lucano ha profuso tutto il suo impegno civile per rendere il suo borgo di nascita un posto migliore. E ci è riuscito.
Dopo aver creato l’associazione “Città futura” con l’obiettivo di mettere a sistema sforzi, iniziative e fondi per favorire l’integrazione, rilanciare il paese e combattere lo spopolamento, Mimmo fa di Riace un vero e proprio modello fondato sulla solidarietà e l’inclusione.
Parola d’ordine: accoglienza.
L’accoglienza ha creato opportunità per tutti, italiani e stranieri: sono stati riaperti laboratori e botteghe; la scuola – prima a rischio chiusura – è rimasta aperta; è stato creato un asilo multietnico. Anche i negozi attorno al paese sono riusciti a sopravvivere grazie ad una comunità che numericamente è cresciuta e ha continuato a fare acquisti.
Un brutto giorno dal Viminale è arrivata la stretta sull’immigrazione e sono insorti i primi ostacoli: i fondi hanno cominciato ad arrivare a singhiozzi, i decreti (in)sicurezza hanno scosso le anime e le vite di molti ed il “paese dell’accoglienza” ha subito attacchi da tutte le parti. Ma il sindaco di Riace non è rimasto in silenzio dinanzi ad una politica che cercava di innalzare muri e di chiudere porte e porti.
Al contrario, si è scagliato contro le prefetture, la Regione, il ministero. Per chiedere aiuto ha scritto persino al presidente della Repubblica e al Papa, parlando di una comunità che rischiava di morire di inedia. Ha criticato fortemente sia Matteo Salvini che il Movimento 5 stelle, quest’ultimo per aver lasciato i decreti sicurezza venissero approvati.
Questo (parziale) resoconto della vita di Mimmo Lucano è già di per sé sufficiente a delineare la sua personalità e a far comprendere gli ideali che incarna, ma la bellezza autentica che trasmette dal vivo fa di lui una vera e propria fonte d’ispirazione.
L’estate scorsa sentirlo parlare a cuore aperto in Piazza Grande a Bologna, con qualche errore grammaticale qua e là accompagnato da una genuinità disarmante, mi ha insegnato il significato profondo di accoglienza e di integrazione.
D’altra parte, quando ci metti il cuore è tutto diverso. È migliore, a prescindere dagli esiti. E tutti i migranti ormai parte integrante del tessuto sociale di Riace e in generale dell’Italia, lo hanno sentito eccome il cuore pulsante di Mimmo.
Quel cuore li ha aiutati a fuggire da luoghi in cui la disumanità, la disuguaglianza e le violenze sono la regola, non solo accogliendoli, ma anche inglobandoli nella vita cittadina, permettendo loro di coltivare affetti, di trovare un impiego per guadagnarsi da vivere e di nutrirsi di speranza e di democrazia.
Perché, sapete, anche loro hanno un cuore, e questo Mimmo lo sa bene.
Infatti, quando parla della possibilità di “partecipare alla costruzione di un mondo migliore” non è una promessa sterile o uno di quegli impegni che si prendono durante la campagna elettorale, che vengono poi puntualmente disattesi.
Lui ci crede davvero.
Ed anch’io.