Lo scorso 9 luglio, attraverso un comunicato del proprio Ufficio stampa, la Corte Costituzionale ha reso nota la parziale incostituzionalità del primo decreto Sicurezza (d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in L. 1 dicembre 2018, n. 132) voluto nel 2018 dall’allora Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
La Consulta ha accolto le questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Milano, Ancona e Salerno avverso la norma che ha escluso il permesso di soggiorno per richiedenti asilo dai “titoli” sufficienti per l’ottenimento dell’iscrizione anagrafica in un comune italiano, precludendo così a numerosi immigrati presenti sul territorio di ottenere la residenza ed il conseguente godimento di taluni diritti da essa discendenti.
Si conclude così una diatriba andata avanti per mesi dopo l’approvazione del primo decreto Sicurezza, con i sindaci di molte città italiane – per prima il sindaco di Crema, Stefania Bonaldi, seguita poi, tra i tanti, dal sindaco di Milano Beppe Sala e da quello di Palermo Leoluca Orlando – che avevano deciso autonomamente di reinterpretare la norma attraverso una lettura costituzionalmente orientata che superasse il dato letterale.
Una battaglia che poi si è spostata anche in diverse aule di tribunale – tra i quali quello di Bologna, Ancona, Lecce, Genova, Milano e Salerno -, permettendo ad alcuni giudici di accogliere le istanze dei richiedenti, obbligando i Comuni ad iscriverli all’anagrafe, e ad altri di sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte.
Ma andiamo con ordine.
Cos’è la residenza e perché è così importante?
La residenza, insieme a domicilio e dimora, è uno dei criteri giuridici di collegamento tra persone e luoghi.
Secondo l’art. 43 del Codice Civile: «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».
Mentre il domicilio costituisce quindi il centro di imputazione di posizioni giuridiche personali per lo più patrimoniali, la residenza coincide con il luogo in cui il soggetto trascorre effettivamente la propria vita, in cui si creano e consolidano gli affetti famigliari e i bisogni primari: per questo motivo, essa ha assunto un ruolo molto significativo venendo a rappresentare un legame non solo giuridico, ma anche politico e sociale, tra il singolo e la comunità territoriale alla quale egli appartiene.
In ragione di ciò, nel nostro ordinamento la residenza riveste un ruolo fondamentale per varie ragioni:
- da un punto di vista amministrativo, permette di localizzare un soggetto all’interno di un determinato territorio comunale anche in un’ottica di pubblica sicurezza e controllo del territorio;
- in ottica costituzionale, alla residenza è ricollegata la possibilità di esercitare concretamente molti diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e dalla legge come, ad esempio, iscriversi al Centro per l’impiego e aprire una partita IVA; accedere al gratuito patrocinio; accedere al Servizio Sanitario Nazionale, eleggere un medico di base e usufruire delle esenzioni previste; accedere ai servizi di welfare locale, percepire una pensione sociale o d’invalidità; appartenere ad una circoscrizione elettorale, e quindi votare.
Pertanto, in ragione dell’importanza che riveste per l’ordinamento, secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, la residenza può qualificarsi come un diritto soggettivo perfetto nei confronti del quale la Pubblica Amministrazione, nella fase di iscrizione del richiedente nel registro della popolazione residente in un determinato Comune, ha solo un potere di accertamento e nessun margine di discrezionalità.
E per quanto riguarda l’iscrizione anagrafica dei cittadini extracomunitari?
La disciplina dell’iscrizione anagrafica degli stranieri si fonda sul principio generale secondo cui «le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione» (art. 6, co. 8, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, c.d. “Testo unico sull’immigrazione”).
Ne consegue che tutti coloro i quali si trovano in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità possono richiedere ed ottenere l’iscrizione anagrafica presso un qualsiasi Comune italiano alle stesse condizioni dei cittadini italiani.
La riforma voluta da Salvini e la decisione della Consulta
Tuttavia, come già accennato in precedenza, nell’ottobre del 2018 l’ex titolare del Viminale ha previsto una deroga a questo principio, stabilendo che i richiedenti asilo, nonostante il permesso che garantiva loro la regolare presenza su territorio nazionale, non avrebbero potuto ottenuto l’iscrizione anagrafica nel proprio Comune di residenza. Tale decisione, come si rilevava già dalla relazione tecnica che accompagnava il decreto, era stata giustificata dall’incertezza circa l’esito della procedura del permesso per richiesta di asilo.
Dopo circa due anni, però, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di questa norma, non per contrasto con l’art. 77, in merito ai requisiti di necessità e di urgenza del decreto, ma per contrasto con l’ art. 3 della Costituzione, sotto un doppio profilo:
- per irrazionalità intrinseca, in quanto la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio alla base della legge anagrafica e dello stesso decreto sicurezza;
- per irragionevole disparità di trattamento, in quanto rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche agli stessi garantiti.
Le reazioni della politica
Naturalmente la reazione di Matteo Salvini alla decisione della Consulta non si è fatta attendere: “Anche sui decreti Sicurezza qualche giudice, come accade troppo spesso, decide di fare politica sostituendosi al Parlamento. Un richiedente asilo’ in oltre il 50% dei casi viene riconosciuto come clandestino dalle commissioni prefettizie, senza quindi nessun diritto di rimanere in Italia: secondo la Corte dovremmo quindi premiare chi mente e infrange la legge? La sicurezza e il benessere degli Italiani, degli immigrati perbene e dei veri richiedenti asilo, vengono prima di tutto”, ha detto ad Affaritaliani.it il segretario della Lega.
Di tutt’altra opinione, ovviamente, sono i rappresentanti di molte altre forze politiche e delle associazioni del terzo settore impegnate sul fronte immigrazione secondo i quali questa pronuncia rappresenta un’ulteriore conferma della necessità di ripensare, se non eliminare del tutto, i due Decreti Sicurezza.