Ho una personale convinzione quando si tratta di musica: la musica non va capita. Spesso mi viene da ridere quando sento frasi del tipo “Tu ne capisci di musica”, no io non ne capisco, come potrei capire qualcosa di irrazionale, di misterioso, di trascendentale. Il bisogno di musica è insito in ogni essere umano ed è un bisogno fisiologico, primordiale; pensare ad una vita senza musica equivale a pensare ad una vita priva di ricordi, di colori, di sapori, di sentimento: impossibile. E’ impossibile capire perché un brano ti trasmetta determinate sensazioni o perché sia talmente parte di te che non riusciresti più a concepirti senza. Io non cerco mai di capire un brano, semplicemente lo ascolto e spalanco il cancello delle emozioni. Quello che con queste parole vorrei trasmettervi è in che modo la musica riesca ad emozionarmi . D’altronde uno dei temi del mese di “Venti” è la leggerezza e trovo che non vi sia emozione più intensa del sentirsi leggero.
Non so perché ma la prima immagine che mi viene in mente pensando alla leggerezza è quella di Marianne Schröder, modella norvegese, che vaga levitando lungo una strada buia e attraversa case che a loro volta fluttuano in aria. Sto parlando del video musicale di “What else is there?” dei Röyksopp, geniale duo norvegese di musica elettronica.
“What else is there?” è senz’ombra di dubbio il capolavoro nonché brano più famoso del gruppo e sarà per l’inconfondibile voce di Karin Dreijer Andersson (in arte Fever Ray) o per il videoclip così visionario, fatto sta che ogni volta che ascolto questo brano (immancabile nella mia playlist) mi perdo in una qualche dimensione sconosciuta. Vi consiglio di attendere un terribile temporale notturno, mettervi in macchina, imboccare una stradina di campagna e di lasciarvi cullare tra lampi e fulmini dalle incantevoli note di “What else is there?”.
Mi provoca un effetto del tutto analogo la musica dei Radiohead, uno dei gruppi più controversi e affascinanti dell’ultimo ventennio.
Pensare che “Creep”, primo singolo estratto dall’album di debutto “Pablo Honey” fu escluso dalla programmazione della BBC Radio 1 dopo due trasmissioni perché giudicato troppo deprimente mi fa venire ancora adesso l’orticaria; fortunatamente in seguito non furono tutti così cretini come quei disgraziati della BBC e “Creep” ebbe il successo meritato. Il sentirsi a disagio, non appartenenti al genere umano, l’incapacità di comunicare emozioni e bisogni, l’amore deleterio e non corrisposto sono alcune delle tematiche trattate in “Creep” e ricorrenti nel sentimento musicale della band.
Con “How to disappear completely” però i Radiohead vanno oltre: ti sciolgono, ti scompongono, ti rendono maledettamente leggero e sì, ti fanno scomparire completamente. Raramente ho sentito un brano musicale prodotto con una passione simile, come del resto tutto l’album da cui è tratto il pezzo in questione, “Kid A”, l’album perfetto.
Thom Yorke (la voce della band) ci accompagna attraverso questo sogno, una sorta di limbo che presto sa di dover abbandonare; il suo io vaga spersonalizzato attraverso muri e sul fiume Liffey, lasciandosi dietro uragani, fuochi d’artificio, luci stroboscopiche. Il tutto è accompagnato dal suono tagliente di un violino che provoca degli stupendi brividi lungo la schiena: davvero estatico. Scorrendo i commenti di uno degli svariati video di questo capolavoro che si aggirano su Youtube, ho trovato dei versi di una blogger/poetessa, Michelina Di Martino, che credo fotografino perfettamente “How to disappear completely”:
“Quando ero piccola
schiacciavo le pupille
degli occhi finché
non spariva il mondo
e apparivano le stelle”
Concludo con una riflessione riguardo al pezzo “C’eravamo abbastanza amati” del cantautore Vasco Brondi che nel 2007 diede vita al progetto musicale “Le luci della centrale elettrica”.
“Le luci” o le ami o le odi, qui non ci sono sfumature di grigio, o è bianco o è nero. Io amo alla follia diversi brani di Vasco Brondi e ammetto di avere un debole in particolare per il brano succitato, il pessimismo cosmico di Vasco è chiaramente presente anche qui: si parla di un incidente automobilistico che coinvolge una coppia che si era “abbastanza amata” e che è destinata a dissolversi come tutto ciò che è degradabile. C’è un però: il tutto è affrontato con una tale leggerezza e (passatemi la dicotomia) felice malinconia, tanto che i periodi neri sono “spettacolari” e le esplosioni diventano “quei soli che si vedono di notte in nord Europa”. Una lunga eclissi e dei bellissimi cieli autunnali fanno da cornice a dei sacchetti di plastica, la sola cosa che prima o poi rimarrà sulla superficie terrestre e “se solo anche tu fossi stata di plastica o di un altro materiale stabile, non degradabile”.