C’è, ma non si vede. Ne La Morte di Marat l’assenza pesa più di una presenza.

 

Di Claudia Altomare

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Agire nell’ ombra. Presenza, assenza presunta. Nel mondo dell’arte ne è un emblema La morte di Marat, opera di Jacques Louis David, pittore francese neoclassico. La corrente a cui aderisce si colloca a metà del tra il XVIII e XIX secolo, contemporanea quindi alla Rivoluzione francese, ed è caratterizzata dalla rivalutazione delle opere antiche, specie quelle classiche che erano state create nella Grecia delle città-stato libere, in opposizione al Rococò dell’ancien regime.

Nel descrivere un animo grande e nobile, qual era quello di Jean- Paul Marat, era fondamentale che l’artista non lo ritraesse nella scene cruenta del suo assassinio, ma appena prima o appena dopo “quando il tumulto delle passioni o non c’ è ancora o si è già attenuato”, secondo le idea del Neoclassicismo. Lo mostra, infatti, dopo aver spirato, nella vasca da bagno dove faceva le sue abluzioni, con la ferita sul costato, il capo chino, e il braccio destro disteso sul fianco della vasca con ancora la penna in mano. Chiaro riferimento ad altre opere come la Pietà di Michelangelo. Non viene rappresentata tutta la camera, ma viene dipinto uno sfondo scuro con delle pennellate di giallo, che formano quasi un pulviscolo. Un piccolo tavolino diventa un’epigrafe: “A Marat, David”, omaggio dell’ artista, su cui si trovano un calamaio, una penna, un assegno e un’epistola dove si riesce a leggere: “…darete questo assegno a vostra madre…” indirizzata all’ assassina. Tutto ciò è fatto con l’intento di elevare Marat e renderlo un modello per tutti gli uomini anche togliendo ciò che poteva essere di comune e banale dalla rappresentazione della camera.

L’assassina, tale Marie Anne Charlotte de Corday d’Armont, non è, per l’artista, degna di essere rappresentata. Di lei rimane solo il pugnale a terra e il suo nome si legge nella lettera inviata a Marat per chiedere udienza, facendo leva sulla buona fede di un uomo disponibile. Questa donna era una seguace delle idee dei Girondini o Brissottini, fazione costituita da uomini del dipartimento della Gironda, nel sud-ovest della Francia, che seguivano idee antimonarchiche, ma senza cedere alle richieste egalitarie dei Sanculotti. Nella Costituente, formatasi dopo la proclamazione della Repubblica, i Girondini ebbero come oppositori i Giacobini, capeggiati, tra gli altri, da Robespierre e Marat, e da questi vennero sconfitti politicamente – con l’ appoggio dei Sanculotti – e perseguitati.

Charlotte de Corday era una ragazza di provincia che vedeva in Marat un despota da uccidere per librare i suoi compatrioti. In una lettera commovente inviata al padre lei scrive: “ Perdonatemi, mio caro papà, di aver disposto della mia esistenza senza il vostro permesso. Ho vendicato delle vittime innocenti, e ho evitato altri disastri. Il popolo, un giorno non più abusato, si rallegrerà di essersi liberato di un tiranno” e ancora “ Io ho scelto come avvocato Gustave Doulcet: un tale attentato non permette difesa, è solo per formalità. Addio, mio caro papà, vi prego di dimenticarmi, o piuttosto di volermi raggiungere nella mia sorte, poiché per questa causa ne vale la pena. Abbraccio mia sorella che amo con tutto il cuore, e la mia famiglia. Non dimenticate questo verso di Corneille. Il Crimine fa la vergogna, e non il patibolo! Sarò giudicata domani alle otto. Questo 16 luglio”. Queste righe vennero lette in tribunale prima della condanna alla ghigliottina. Le sue speranze furono disattese perché proprio con la persecuzione dei girondini si dà inizio al Periodo del Terrore di Robespierre.

Il capolavoro di David venne per un po’ dimenticato, ma fu d’ ispirazione per grandi pittori come Munch e Picasso, che ne dipinsero una loro versione, e anche Baudelaire e Stendhal. Oggi è custodito a Bruxelles, nel Museo Reale delle Belle Arti.