La produttrice discografica racconta la rivoluzione del FLAC
FLAC: un rumore che ricorda l’incessante ticchettio di un orologio da polso. Dietro questo acronimo, però, si nascondono il presente e il futuro della musica: Free Lossless Audio Codec, in altre parole una modalità di compressione delle tracce audio che non compromette la qualità e l’esperienza dell’ascolto. Un formato in espansione, nonostante le resistenze delle grandi piattaforme di streaming, che continuano a puntare sul formato MP3. Eppure, alcuni artisti e produttori discografici che non appartengono al circuito del mainstream hanno già iniziato a esplorare le potenzialità del nuovo sistema di riproduzione e ascolto delle canzoni. Una delle pioniere del FLAC è certamente la 30enne cosentina Arianna Tomaselli: dagli studi di registrazione della sua TapeLab – il modernissimo atelier sonoro condiviso con Marco Passarelli – non transitano soltanto voci e canzoni, ma anche progetti, idee e sperimentazioni a misura di ascoltatore. Compresa una tesi di laurea dedicata alla «guerra dell’alta risoluzione» (la High Resolution War), che ha documentato le reazioni di 800 persone calate nel sottobosco dei suoni ad alta e bassa fedeltà.
Prima di tutto, che cos’è la High Revolution War?
«Quando devo affrontare questo argomento, parto sempre da un esempio che può essere d’aiuto a chi non conosce gli aspetti tecnici della musica: immaginate che una canzone sia composta da tanti colori, esattamente come un quadro o una foto. In base a una teoria che circola ormai da qualche anno, l’essere umano riesce a vedere soltanto una parte di questi colori. Anche se la psicoacustica sostiene che non ci siano differenze tra un brano in alta risoluzione e uno in bassa risoluzione, noi possiamo affermare esattamente il contrario: la prima avrà 100 colori, l’altra ne avrà invece soltanto 10. La guerra dell’alta risoluzione nasce proprio dal presupposto secondo il quale l’orecchio umano sia in grado di percepire questa differenza».
Perché è così difficile apprezzare la musica in formato FLAC, nonostante una risoluzione migliore rispetto agli MP3?
«La maggior parte delle piattaforme streaming – per esempio Spotify, YouTube e Apple Music – privilegiano la musica in bassa risoluzione. Pertanto, siamo abituati ad ascoltare file audio piuttosto degradati, apparentemente senza alcuna anomalia. E invece, con la mia tesi ho provato a dimostrare se esistesse o meno una differenza a livello corporeo. D’altra parte, gli studi e gli esperimenti condotti dagli anni Ottanta al 2015 – incentrati perlopiù sulla sfera neurologica e sui risvolti psicologici dell’ascolto – non hanno fornito una risposta definitiva al riguardo. Tuttavia, entrambe le ricerche hanno evidenziato che un consumatore abituale di musica, sia esso un musicista o un addetto ai lavori, è in grado di distinguere un file di alta qualità da uno più scadente».
La tua tesi di laurea si è invece soffermata sull’aspetto emotivo dell’ascolto, analizzando in particolar modo il battito cardiaco. Quali sono stati i risultati di questa indagine così particolare, se non altro perché la relazione tra le pulsazioni del nostro cuore e la qualità di un file audio non appare a prima vista così evidente?
«Prima di discutere la tesi (nel 2015, ndr), non avevo mai pensato a questo aspetto. Naturalmente, non avendo una competenza specifica in ambito medico, sono stata affiancata da un’équipe di professionisti, con la quale ho preso in esame un campione piuttosto numeroso, formato esclusivamente da lavoratori del settore. A ciascuna persona coinvolta nell’indagine ho fatto ascoltare alla cieca sia brani in alta qualità, sia registrazioni a bassa risoluzione di quattro generi diversi: pop, rock, elettronica e classica. Alla fine del lavoro, il risultato è stato sorprendente: in base ai dati forniti dall’holder cardiaco, abbiamo riscontrato una differenza profondissima nel numero di pulsazioni. Il corpo umano, infatti, risponde in maniera molto agitata all’ascolto in bassa risoluzione, perché l’orecchio è più sollecitato nel processo di decodifica di un suono che arriva confusamente. Di conseguenza, l’orecchio mette in moto una serie di meccanismi neurologici per cercare di capire cosa stia ascoltando. Al contrario, quando sono stati proposti brani incisi in alta risoluzione, il battito cardiaco era più regolare, quasi come se la musica avesse un potere rilassante».
A tuo parere, cosa servirebbe per rendere più appetibile la musica in formato FLAC non solo ai consumatori abituali, ma anzitutto ai titolari delle piattaforme streaming?
«Ad onor del vero, esistono già servizi di streaming che consentono di ascoltare musica in alta definizione, a cominciare da Tidal. Anche Apple Music ha fatto passi da gigante in questa direzione. Da questo punto di vista, il sistema più penalizzato in assoluto è Spotify perché, pur avendo una grande visibilità sui social network e una altrettanto forte capacità di attrazione a livello commerciale, è rimasto molto indietro sul versante della qualità audio. Agli ascoltatori consiglio dunque tutte quelle applicazioni che consentano di ascoltare i file in alta risoluzione, privilegiando invece Spotify per scoprire nuovi artisti attraverso il gioco delle playlist».
Qual è l’orientamento dell’industria musicale e, nello specifico, degli artisti in merito al FLAC?
«I musicisti vivono male questa situazione perché, dopo aver ascoltato il master di studio, il cui livello tecnico è incredibile, scoprono che la versione per le piattaforme digitali non raggiunge gli stessi standard qualitativi. D’altra parte, noi produttori dobbiamo compiere un processo di ottimizzazione proprio per i servizi in streaming, senza il quale un qualsiasi brano sarebbe inascoltabile. Ovviamente, possiamo caricare anche le registrazioni in alta qualità, ma poi tutto dipende dalle preferenze dell’ascoltatore».
Il tuo studio esamina anche gli effetti di queste registrazioni sul sistema simpatico e sul sistema parasimpatico. C’è qualcosa che cambia a livello mentale, soprattutto quando la parte interna del nostro orecchio non è costretta a chiedersi letteralmente cosa stia ascoltando?
«Sappiamo che il sistema simpatico entra in funzione quando si verifica una situazione di emergenza. Pertanto, il fatto che esso si attivi mentre stiamo ascoltando la musica a bassa risoluzione è molto grave, perché non sei affatto concentrato sull’esperienza stessa di ascolto e, di riflesso, sull’artista e sulle sue sonorità. Di converso, la ricerca ha confermato che il sistema parasimpatico – la cui funzione è quella di calmare il nostro corpo non appena è terminata la situazione di disagio – si attiva proprio quando si ascoltano brani in alta fedeltà. Pertanto, la musica – intesa sia come forma di catarsi, sia come passatempo – non deve agitare il corpo, ma rilassarlo».
Il tuo studio di registrazione è in prima linea sul versante dell’innovazione anche a livello tecnologico. Qual è il pensiero tra i produttori discografici in merito alla contrapposizione tra FLAC ed MP3? A questo proposito, hai avuto modo di condividere questa esperienza con i tuoi colleghi?
«Per rispondere a questa domanda, è necessaria una premessa. Al giorno d’oggi, il mondo dell’audio è diviso in due settori: un conto è il settore commerciale, nel quale entrano in gioco le etichette discografiche e i distributori; tutt’altra cosa, invece, è il mondo dell’audio pro, dove i fonici e i tecnici hanno piena contezza di questo problema, tant’è che cercano ogni giorno di migliorarsi sia con la creazione di algoritmi, sia specializzandosi nel campo dell’informatica musicale. In ambito discografico, invece, la situazione è completamente all’opposto, perché la fruizione immediata della musica, senza dover attendere i tempi di caricamento della traccia, è chiaramente più appetibile a livello commerciale. Del resto, se si creano più prodotti, il mercato cresce di pari passo. La lotta tra il mondo dell’audio e la sua metà commerciale è un dato di fatto: per esempio, io ho affrontato questo tema in un corso di perfezionamento con Salvatore Addeo, ma al momento non c’è una soluzione che accontenti tutti. Possiamo solo sperare che l’impatto dell’audio pro sia tale da cambiare le cose in futuro».
Come si stanno muovendo gli acquirenti degli impianti hi-fi, considerati i costi senz’altro elevati per l’acquisto di prodotti e sistemi che consentano di migliorare sensibilmente l’esperienza di ascolto?
«Queste novità sono state accolte positivamente perché il gruppo di lavoro che ha creato il formato MP3 ha deciso di abbandonare lo sviluppo di questo algoritmo proprio perché mette sotto pressione l’ascoltatore. Al tempo stesso, però, sappiamo che il commercio di apparecchiature hi-fi tra gli amanti dell’audio professionale è ancora molto forte. In ogni caso, sappiamo che la musica in alta risoluzione non è affatto morta, anzi: continuerà senz’altro a progredire. Tuttavia, essa è ancora patrimonio di una cerchia ristretta di ascoltatori».
Secondo te, cosa serve per avvicinare il grande pubblico al FLAC?
«Confido moltissimo nelle nuove generazioni di artisti e ascoltatori. Mi è capitato di lavorare con tantissimi ragazzi che hanno un rapporto così profondo con la musica da vivere in una vera e propria bolla multimediale per 24 ore al giorno. Da essi potrà nascere una rivoluzione dei contenuti, in quanto pretenderanno sempre maggiore qualità dai loro dispositivi».
Da un punto di vista tecnico, qual è il futuro che ci attende, anche alla luce delle tante innovazioni che consentono di alterare la voce, prima fra tutte l’autotune?
«L’autotune è uno strumento che, prima o poi, scomparirà tanto quanto il genere urban che lo ha reso popolare. Non bisogna concentrarsi su una singola tendenza perché, com’è sempre avvenuto nella storia della musica, le mode vengono e vanno con una certa facilità. Tuttavia, credo che in futuro saranno sempre più frequenti le contaminazioni tra stili, in perfetta sintonia con i fermenti che attraversano la nostra società multiculturale. Nel corso del 2023 diventerà ancora più popolare una sorta di new fusion che, a partire dal filone urban, contaminerà tutti gli altri generi, riportando a galla anche la musica acustica che, negli ultimi tempi, era un po’ sparita dai radar. A livello tecnologico, invece, la musica prenderà strade molto particolari: a questo proposito, Apple Music ha recentemente lanciato l’audio spaziale, grazie al quale non ascolteremo più la musica in stereofonia, ma vivremo un’esperienza totale, come se le canzoni provenissero da ogni parte dello spazio».
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni