Miti e icone di fine Novecento affollano il cinema, la televisione e il web
Dagli occhi spiritati di Salvatore Schillaci al «baco del millennio» che aveva minacciato i sistemi informatici di tutto il mondo, passando per la nascita del web, il grunge, le boy band e le Spice Girls, X-Files e Friends: gli anni Novanta in estrema sintesi. Un concentrato di frenesia, estasi, paure e novità che non ha alcunché da invidiare ai dirimpettai e patinati Ottanta, nel bene e nel male.
Se l’attualità di un decennio si misura dagli omaggi e dalle celebrazioni che accontentano gli adolescenti di ieri (e incuriosiscono i teen-ager di oggi), il capolinea del secolo breve non se la passa poi tanto male: l’ultimo Festival di Sanremo, per esempio, è stato un tuffo al cuore degli ascoltatori in cammino verso la maturità. Anche se le esibizioni di Gianluca Grignani, Giorgia e Paola e Chiara hanno suscitato reazioni contrastanti, il debutto sanremese degli Articolo 31 con l’autobiografica Un bel viaggio è servito anzitutto a ricomporre i cocci di una lunghissima separazione tra Alessandro Aleotti e il suo socio Luca Perrini.
Anni Novanta, provincia della dance tricolore: riempipista come The Rhythm Of The Night dei Corona, Blue (Da Ba Dee) degli Eiffel 65 – recentemente tornata in voga grazie a David Guetta e Bebe Rexha – e L’amour tojours di Gigi D’Agostino appartengono di diritto ai classici da ballare, anche se nessuno di questi è riuscito ad eguagliare la popolarità di Freed From Desire di Gala, assurta un anno fa a colonna sonora dello scudetto del Milan, con tanto di rivisitazione del ritornello («Pioli is on fire»).
Parlare di calcio significa ricordare l’epoca dorata della Serie A, il «campionato più bello del mondo» che collezionava trionfi su trionfi in Europa – con la formidabile tripletta del 1990 messa a segno da Milan, Juventus e Sampdoria – e non badava a spese (pagandone duramente le conseguenze all’inizio del nuovo secolo, peraltro) pur di avere i migliori interpreti del football mondiale. Splendori e miserie del calcio italiano che hanno ispirato un bel podcast di Storielibere.fm (Cronache dei 90, con la voce narrante del telecronista di DAZN Stefano Borghi) e un libro di Tommaso Guaita, 45/90, pubblicato a febbraio da 66thand2nd.
Una stagione a suo modo irripetibile, cui faceva il controcanto un irriverente terzetto che aveva iniziato dai microfoni di Radio Popolare a dissacrare la religione laica degli italiani: la Gialappa’s Band ha impresso un segno inconfondibile sui ’90 con Mai dire gol, l’allegra sarabanda di congiuntivi fuori posto, iperboli, lisci e «ultime parole famose» diventata con il tempo accademia della comicità italiana. La nostalgia alimentata da seguitissime pagine Facebook aveva convinto i vertici di Mediaset ad annunciare una serie deluxe di Mai dire gol in cinque puntate per la stagione televisiva ormai agli sgoccioli, ma il progetto è rimasto nel cassetto. In compenso, però, Giorgio Gherarducci, Marco Santin e Carlo Taranto (che ha peraltro rinunciato agli ultimi impegni televisivi del gruppo, compreso il domenicale GialappaShow su Tv8) hanno licenziato per Mondadori una corposa autobiografia – Mai dire noi – che è anche la storia di un’intera generazione di telespettatori cresciuti con il televisore sintonizzato su Italia 1.
Quella stessa rete – oggi tristemente in declino per quantità e qualità delle sue produzioni – che ha consacrato piccoli e grandi telefilm di culto per i trentenni e i quarantenni di oggi: Baywatch, Dawson’s Creek, Willy, il principe di Bel Air, X-Files, giù giù fino a Bayside School e Sabrina, vita da strega. In nome dei bei tempi andati (e delle logiche del mercato), tutto è possibile. Anche riportare in vita o riadattare i titoli più amati dal pubblico: se gli investigatori del paranormale Dana Scully (Gillian Anderson) e Fox Mulder (David Duchovny) sono tornati in pista per altre due stagioni tra il 2016 e il 2018, il personaggio di Sabrina Spellman – al centro della serie di Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina – gioca di sponda con il fantahorror molto più di quanto non accadesse nella sit-com interpretata da Melissa Joan Hart. Ancora più coraggiosa la scelta di calibrare Bel-Air su un registro drammatico, in perfetta discontinuità con l’originale che portò Will Smith sulla ribalta. Non tutti i remake, però, riescono col buco: la versione cinematografica di Baywatch non ha funzionato tanto quanto Saved By The Bell, l’erede di Bayside School che schierava nel cast gli storici protagonisti Zach (Mark-Paul Gosselaar) e Kelly (Tiffani-Amber Thiessen).
Come spiegare le alterne fortune di queste operazioni? Avere un grande futuro dietro le spalle non aiuta, certo. Tuttavia, l’impressione è che la nostalgia sia spesso e volentieri un semplice pretesto per passare all’incasso. No, non si gioca con i nostri ricordi più cari. Anche se sono vecchi di decenni.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni