Daniele Rugani nasce a Sesto di Moriano, pochi chilometri da Lucca, città di arte e cultura. All’età di sei anni l’Empoli, squadra che sa bene come crescere i giovani, lo chiama e lui non esita. Dodici anni in azzurro e poi la chiamata che ti può cambiare la vita: gli osservatori della Juventus hanno tenuto d’occhio il difensore biondo dal viso onesto. E’ elegante, longilineo e con la testa a posto. Bastano poche settimane perchè le mani torinesi si allunghino su di lui. Viene aggregato alla Primavera, dove arriva il primo trofeo. La squadra “maggiore” è reduce da un’impresa ai limiti dell’ audacia, servono forze fresche. Però Rugani è troppo giovane, ancora acerbo. Meglio farlo tornare in Toscana, sotto gli occhi vigili di un allenatore girovago, Maurizio Sarri, il quale, puntando forte sul difensore per metà bianconero, riuscirà a formare una delle più belle
squadre provinciali degli ultimi anni.
Esordisce diciannovenne in Serie B. Rimane titolare fisso per tutta la stagione, che si conclude con la promozione in Serie A. I torinesi capiscono di avere merce rara tra le mani e decidono, così, di prendersi l’altra metà del cartellino e di lasciarlo un altro anno a Empoli. Una sorta di “prova del nove”. Risultato: trentotto partite giocate, massimo minutaggio e tre gol.
E’ un ragazzo sveglio, serio e fuori dagli schemi. Legge molto, si allena di più dei suoi compagni ed è attento alla dieta. Sa usare entrambi i piedi, colpire di testa e non è falloso. Non chiamatelo “bravo ragazzo”, non gradisce. Preferisce essere descritto come un giocatore che svolge l’essenziale: niente gomitate o sbracciate. Antepone la tecnica al fisico, come si usava un tempo. Non ci sono molti giocatori in Italia o in Europa che possono dire di appartenere alla “vecchia scuola”, dove ci si picchiava, ma con rispetto, senza troppo isterismi. In questo è superiore persino a quello che dovrebbe essere suo mentore, Chiellini.
Rugani e altri della sua generazione, come Romagnoli, (scuola Roma, oggi al Milan) possono riaprire un nuo
vo ciclo, più vincente della fallimentare generazione anni ’80. Gli acciacchi fisici dei suoi compagni gli garantiranno presto più partite di quelle disputate finora. C’è chi lo paragona a Scirea. Paragone azzardato e con poca logica. Ma la probabilità di vedere un nuovo grande difensore è alta. Molto alta.