Nicolò Cigala, classe ‘91, laureato in Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano. Apparentemente un ragazzo tranquillo e riservato, con una passione particolare per la fotografia e un’attrazione spropositata verso i luoghi abbandonati: ex manicomi, colonie estive, case stregate, borghi dimenticati dal mondo. Dove c’è abbandono e solitudine, grandi spazi vuoti che hanno bisogno di urlare la propria storia, c’è Nicolò. Questa è la sua prima intervista, ma non solo per lui, anche per me. E ci siamo incontrati come due amici di fronte a un bicchiere di vino nel cuore di Milano, per discutere insieme della sua idea di fotografia.
Domanda classica per rompere il ghiaccio: come e da cosa nasce la tua passione per la fotografia?
Nasce per caso, come per il 90% delle persone. Un giorno mio padre si è presentato in camera mia con una macchina fotografica vintage, un’Olympus, e da lì ho iniziato a scattare per curiosità. Inizialmente fotografavo di tutto: paesaggi dal balcone di casa, oggetti nonsense. Crescendo, la mia passione è maturata e ho abbandonato la fotografia analogica per passare a quella digitale. Devo dire che l’esperienza con l’analogica mi ha educato molto. Oggi quando faccio gite fotografiche torno a casa con pochi scatti, perché li seleziono già sul posto. Sono uno di quelli che preferisce la qualità alla quantità.
Intanto scorriamo insieme alcune delle sue fotografie.
Oggi invece puoi affermare a gran voce di aver trovato il tuo stile, la tua dimensione.
Mi sembrerebbe di capire che il filo conduttore delle tue fotografie è rappresentato dall’abbandono. Scegli luoghi dimenticati dal mondo, ma cos’è che ti ha spinto a documentarli?
E’ partito tutto da puro egoismo: vedevo questi luoghi in foto scattate da altri ed ero innamorato e affascinato più dall’atmosfera che emanavano che dal significato profondo che contenevano. Inizialmente non esploravo con lo scopo di documentare. Poi con il tempo ho acquisito maggiore consapevolezza e anche tecnica…
Andiamo con ordine. Raccontami la tua prima volta in uno di questi luoghi…
Estate 2014. Ex manicomio M.. Ho infilato la macchina fotografica nello zaino e sono partito, senza aspettative, senza paura. Certo mi ero procurato un minimo di documentazione, ma ero totalmente impreparato e inconsapevole di cosa avrei trovato. Sono tornato a casa affascinato, ho capito che avrei voluto girarli tutti questi posti. Ero rimasto catturato dall’atmosfera. Fino ad oggi, dopo la prima esperienza, ne ho visitati ben cinque!
Quando esplori scegli di andare da solo o porti qualcuno con te?
La prima volta ero da solo, il che è di per se un atto di coraggio. Il Manicomio M. in realtà è molto frequentato… lì puoi incrociare fotografi, modelle mezze nude, fidanzati che si scambiano effusioni. Ho una confessione da farti: ogni tanto porto con me un ospite d’eccezione, mio padre (ride).
Tuo padre?! Non lo avrei mai detto!
Si, proprio lui! Condividiamo la stessa passione per i posti abbandonati.
E’ appassionato di horror e quando ha scoperto che mi intrufolavo in questi posti si è incuriosito e così viene spesso con me. Quando lo lascio a casa mi chiama, vuole sapere come va, com’è il posto.
La cosa che più colpisce delle tue foto è come tu riesca a dare una voce alle stanze vuote, agli oggetti. A volte è possibile trovare telefoni, giocattoli, cartelle cliniche, persino piatti con resti di cibo, come se le persone che vi abitavano non fossero mai andate via. Quanto c’è di pianificato nelle tue foto e quanto di “fattore imprevisto”?
Tutto quello che c’è nelle foto è assolutamente così come l’ho trovato. Chi va in questi posti per fotografare non ha scopi di vandalismo, ma solo di documentazione. Ci sono due regole (non scritte) da rispettare: 1. non entrare se c’è da forzare qualcosa e 2. non toccare né spostare nulla neanche per uno scopo prettamente estetico. Una delle cose più particolari che ho trovato in questi posti è stato un piatto con dei resti di cibo. E quel piatto era lì, il cucchiaio era lì, esattamente come si vede nel mio scatto.
Hai mai avuto la tentazione di portare con te un ricordo dopo queste tue esplorazioni?
L’ho fatto una volta sola perché avevo un permesso per entrare e portare qualcosa con me. Generalmente però non lo faccio. Credo che sia come portarsi dietro un ricordo che non appartiene a me, ma a qualcun altro.
Cos’è che rende questi posti più affascinanti?
Lo stato di conservazione e di abbandono. Mi spiego meglio: più tempo è passato dal momento dell’abbandono, meglio sono conservati, e più valore acquisiscono per noi visitatori. Il Manicomio M. ad esempio è in stato di abbandono da poco tempo, ma gli atti di vandalismo lo hanno desacralizzato. Il fascino di questi luoghi è dettato dal fatto che sono ancora inesplorati.
Mentre fotografi provi ad immaginare delle storie?
Sì. Immagino la vita che si faceva in questi posti. Vado di fantasia, un po’ grazie a quello che trovo un po’ tramite delle suggestioni che i luoghi provocano dentro me. Nei due manicomi che ho visitato ho trovato cartelle cliniche dei pazienti, lastre e ho potuto leggere vita, morte, malattie e stato di salute. Se dovessi scegliere i luoghi che mi hanno turbato di più ti direi la sala operatoria e i tavoli dell’obitorio nel Manicomio M., e la stanza delle docce nell’Ex colonia estiva. Questi luoghi a volte sembrano delle prigioni e in questo caso puoi solo fermarti un momento e osservare.
Scattando pensi di poterli liberare in qualche modo? dare loro una voce?
Penso sia intrinseco allo scopo documentaristico della mia fotografia: cerco di riportare le sensazioni che mi provocano questi luoghi, che dovrebbero essere di conseguenza una minima parte di quello che provavano le persone che vi abitavano. Il mio pubblico è popolato da gente della mia età, che non ha vissuto l’epoca dei manicomi e quindi può essere interessante spostare la loro attenzione su queste realtà, sensibilizzarli. In fondo è una memoria storica.
Che canali utilizzi per mostrare le tue fotografie al pubblico?
Ficklr al primo posto, è la mia vetrina principale. E poi sporadicamente condivido qualche scatto anche su Instagram, dove sto cercando di abituare i miei follower a questo genere di fotografia.
Ultima domanda: prova ad immaginare te stesso, qualche anno fa, con una reflex in mano e nessuna idea per la mente. Cosa consiglieresti a un ragazzo che vuole avvicinarsi al mondo della fotografia, ma che non sa da dove cominciare?
Sperimentare! Da solo o in gruppo, con amici che magari hanno la reflex ma non hanno la minima idea da cui partire. Fotografare qualsiasi cosa, fotografarsi a vicenda e scoprire qual è la propria strada. Insomma tornare a casa con la memory card piena e la batteria scarica.
Nicolò Cigala
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