Il Manchester City vive da ormai cinquant’anni un profondo complesso di inferiorità con i cugini rivali dello United. Questo è, bene o male, il riassunto della storia dei Citizens dal 1970, anno della conquista della Coppa delle Coppe. Prima di quel data il Manchester City può vantare un buon palmares, esclusivamente nazionale, che garantisce un discreto blasone. Sono diversi i personaggi che portarono con orgoglio i colori biancoazzurri: Billy Meredith, bomber che avrà un ruolo non da poco anche nella storia dello United, Sam Cowan, il fiero capitano o Frank Swift, il mitico portiere dai nervi fragili. Qualcosa però si rompe, o meglio, si apre come una crepa nello scudo dell’ aquila dorata, simbolo del City: il debito. I dirigenti, infatti, faticano a gestire contemporaneamente i risultati sul bilancio con quelli sul campo. Dopo il regno di Albert Alexander Jr., durato fino al ’71, i nuovi presidenti non riescono a ripetere i successi dei predecessori; seguono anni da semplice comparsa nella Premier, con diverse retrocessioni e campagne acquisti deludenti.
Il punto di svolta è il 2008. Mansur bin Zayd Al Nahyan, il cui patrimonio personale si attesta intorno 4,9 miliardi di dollari, rileva la società, affidando la presidenza a Khaldoon Al Mubarak, figura chiave nel mondo della Formula 1 e della FIFA. La nuova società, come i parenti del PSG, investono clamorose cifre per rinfondare una rosa spaesata e senza qualità. Solo il primo anno verranno acquistati gente del calibro di Jo, Robinho, De Jong e Bellamy. Negli anni seguiranno i vari Tevez, Vieira, Yaya Tourè, David Silva, Balotelli, Dzeko, Aguero, Nasri, Jovetic, fino a Sterling e De Bruyne.
I risultati, però, non sono all’ altezza degli investimenti. Pochi sono i trofei conquistati; da segnalare la Premier League del duo Balotelli-Mancini, a cui seguirà quella del 2013, sotto la guida di Manuel Pellegrini.
Nel calcio non sempre i risultati seguono gli investimenti, per il semplice fatto che non sempre è presente un elemento indispensabile per vincere: la conoscenza. Essa è venuta a mancare sia negli uffici dirigenziali, sia nella panchina. Inoltre vi è il pesante senso di inferiorità con la storia dei cugini Red Devils, che proprio sulla conoscenza di uomini come Sir Alex Ferguson, ha saputo ristabilirsi dopo il “grande buio”, periodo di diciassette anni di quasi totale anonimato.
Lo United è superiore in tutto: storia, tifoseria (da segnalare per i Citizens solo la partecipazione dei fratelli Gallagher, autori dell’inno), titoli, internazionalità. Il City odierno non è ancora riuscito ad imporsi a livello europeo. In molti si stanno sbilanciando in suo favore per la vittoria della Champions League di quest’anno. La prima tappa è con la Juventus, che sta vivendo un momento complicato. Servirà la Superbia in Proelio, come recita il loro motto.
Il risultato pare davvero essere in favore dei biancoazzurri, però, secondo il parere di chi scrive, avrà la meglio chi avrà più fame, non solo più fama.