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L'uomo e l'artista Mango in alcuni scatti esposti a Lagonegro | ph: Carmine Marino per Venti

Tutto l’Oro di Mango in una mostra fotografica a Lagonegro

Il ricordo di Laura Valente: «La sua voce? Un talento coltivato con amore»

LAGONEGRO (Potenza) – «Se Dio mi ha dato questa voce, un motivo ci dovrà pur essere». In queste parole ci sono la forza e la consapevolezza di chi, ancora bambino, era già pronto per correre incontro al futuro. Le prime esperienze canore con i suoi amici, la scoperta del rock e il debutto discografico nella seconda metà degli anni Settanta sotto le insegne della RCA. Un fotogramma dopo l’altro, scorrono le immagini di una carriera e di una vita: l’estetica neoromantica di Oro, i profumi e i colori del suo Mediterraneo, i tanti concerti dal vivo. E quelle braccia sempre pronte a spiccare il volo, come se la sua musica e i suoi versi disegnassero traiettorie mai uguali a se stesse per afferrare la bellezza negli angoli più remoti del mondo. Nessuna meta – per quanto suggestiva – poteva però sostituire la sua terra d’elezione; Pino Mango non si era mai separato da Lagonegro (una «barca poggiata su uno squarcio di cose»), neppure quando il grande pubblico aveva cominciato ad accorgersi di lui.

Alcuni scatti della mostra fotografica È destino d’autore il cammino

La cittadina adagiata ai piedi del monte Sirino lo ha omaggiato nel 2016 con una mostra fotografica permanente, È destino d’autore il cammino, allestita nel settecentesco Palazzo Corrado: 30 scatti e tre poesie che delineano il profilo di un esploratore a tutto tondo del canto e della parola, la cui forza si è conservata intatta a quasi 10 anni dalla morte. Accompagnati dalla nipote Filomena, insegnante di filosofia e storia all’istituto superiore “De Sarlo-De Lorenzo”, attraversiamo il mondo di Mango in un tranquillo pomeriggio di primavera. «Nella mia famiglia, tutti hanno coltivato l’amore per la musica», spiega “Demy”, che si sofferma su una sua foto giovanile («Portava i capelli lunghi come tutti i suoi amici») prima di portarci alla scoperta di un’altra passione di Mango, la poesia. «Amava leggere soprattutto gli autori stranieri. Quest’ispirazione si può rintracciare anche in Lagonegro ’54 (oggi inserita nell’antologia Tutte le poesie, ndr), in cui rievoca la sua nascita». Un cammino d’autore, esattamente come suggerisce il titolo della mostra. Il pretesto per ascoltare e interrogare la donna della sua vita, Laura Valente, ieri voce solista dei Matia Bazar, oggi custode fedele della memoria e dell’eredità artistica di suo marito.

Partiamo dal verso che ha dato il titolo all’esposizione: «È destino d’autore il cammino». Ripensando al padre, al marito e all’artista, che cosa le suggeriscono le parole destino, autore e cammino?

«Se penso alla parola destino, la prima cosa che mi viene in mente è il fatto che indubbiamente Pino sia nato con un grande talento. Tuttavia, è chiaro a tutti che il talento non sia sufficiente da solo a costruire un destino d’autore; affinché questo possa avvenire, ci vuole tanto cammino. E il cammino corrisponde proprio all’approfondimento continuo della materia in cui si ha talento, al quale bisogna dedicare tutto il proprio tempo. In altre parole, la propria passione deve diventare un’ossessione. Ed è esattamente quello che è successo a Pino. Lui è nato con una bellissima voce e con la capacità di creare splendide melodie. Eppure, a questo talento ha consacrato tutta la sua vita, in un costante e meticoloso lavoro quotidiano, che gli ha consentito di arrivare al successo non solo in Italia, ma in tutta Europa».

Quanto hanno inciso la sua predilezione per i grandi nomi del rock – come i Deep Purple, Jimi Hendrix e i Led Zeppelin – e l’interesse per i cantautori nell’elaborazione del suo stile, di cui si avvertiva l’eco già nei suoi primi due album, La mia ragazza è un gran caldo e Arlecchino?

«È stato fondamentale, perché la nostra mente e il nostro animo sono il risultato di ciò che assorbiamo dalle letture e dagli ascolti. Pino si nutriva d’arte dalla mattina alla sera. Oltre al suo quotidiano lavoro di composizione, si dedicava all’ascolto curioso di ogni genere musicale, andando sempre alla ricerca di nuove sonorità, innamorandosi dei ritmi africani come dei violini irlandesi. I primi due album forse non erano ancora a fuoco. Ma dopo una lunga gavetta e tanta sperimentazione, Pino è riuscito a trovare una personale cifra stilistica per comunicare con il pubblico. Da questo punto di vista, la pubblicazione di Oro gli ha consentito di mettere a punto tutti gli ingranaggi necessari per entrare in sintonia con gli ascoltatori».

A proposito di Oro, a novembre saranno trascorsi quarant’anni dall’incisione del brano che non fece soltanto decollare la carriera di Mango. In quell’occasione, infatti, lei ebbe modo di conoscere suo marito. Che sensazioni le lasciò all’epoca quella canzone, scoperta da Mogol?

«All’epoca avevo un contratto discografico con la Fonit Cetra e ricordo che Mara Maionchi mi fece ascoltare il provino di Oro con il testo già rielaborato da Mogol. Rimasi folgorata, perché non avevo mai sentito una canzone del genere né tantomeno una voce come quella. E, in fondo, quel genere è tuttora indefinibile anche se è chiaro che Pino usasse il codice del pop per comporre, seguendo il classico schema strofa-ponte-ritornello. In ogni caso, Oro è un brano che non assomigliava a nessun altro. E anche se uscisse oggi, questa canzone sarebbe ancora attuale proprio perché non è legata ad alcuna tendenza musicale».

Negli ultimi anni, Mango ha ricevuto molti omaggi dagli artisti di nuova generazione come Guè Pequeno e Willie Peyote. Eppure, suo marito non ha trovato la giusta collocazione nel canone dei cantautori italiani. Perché, a suo avviso, la sua musica non ha sempre ricevuto il pieno riconoscimento che avrebbe senz’altro meritato?

«Non condivido del tutto l’idea che la sua opera non sia stata adeguatamente valorizzata. Al contrario, penso che Pino abbia ricevuto molti importanti riconoscimenti; i suoi dischi, infatti, hanno venduto tantissimo e, inoltre, lui era estremamente popolare ed amato. Indubbiamente, da quando non c’è più, io e la mia famiglia non abbiamo certo invaso il mercato con opere postume perché questo tipo di operazioni non ci piace e, d’altra parte, non piaceva neanche a Pino (in tempi non sospetti, si era espresso negativamente quando aveva visto cose simili accadere riguardo a suoi colleghi che erano venuti a mancare). Noi crediamo che più di 20 album e tre libri di poesie siano sufficienti per capire chi sia Mango. Pino ha avuto il tempo di dimostrare in vita chi fosse e non sarebbe certo un inedito ad aggiungere qualcosa al suo valore o alla sua storia. Ciò premesso, ho riflettuto molto sul motivo per cui Pino sia una sorta di ibrido nel panorama della musica italiana, a metà strada tra il cantautore, l’interprete e il musicista. A mio avviso, la ragione per cui non sempre viene accostato ai grandi cantautori italiani è perché, a parte rarissime eccezioni, nei suoi testi Pino non ha mai affrontato tematiche sociali, come hanno fatto loro, ma ha sempre scelto di parlare d’amore. Naturalmente, tutto questo ha dato un peso differente alle sue canzoni, un altro tipo di attenzione e valutazione e, di riflesso, è stata attribuita quindi una maggiore importanza al suo modo di cantare anziché alle parole che ha cantato. Tuttavia, Pino era perfettamente consapevole di questo e si è trattato di una sua scelta ben precisa».

Lei ha vissuto per più di vent’anni a Lagonegro accanto a suo marito. A suo giudizio, cosa c’è del legame con la sua gente e i suoi luoghi nei testi e nelle canzoni di Mango?

«Il senso di appartenenza! Lagonegro non era per lui solo il paese in cui era nato ma era anche e soprattutto uno stato d’animo, uno stile di vita. Se posso dirla tutta, la cosa più importante per Pino era l’idea che lui aveva della sua terra e, anche se non lo si vedeva spesso in piazza, mio marito era sempre lì, a casa sua. Vivere nella sua terra era stata una scelta di carattere morale ed etico. Pino la amava moltissimo, e la amava anche per i suoi difetti e i chiaroscuri perché si ama davvero quando si ha una visione totale dell’oggetto del nostro amore. A differenza della maggior parte dei suoi colleghi che provenivano dalla provincia e che, dopo il successo, avevano deciso di trasferirsi nelle grandi città, mio marito aveva scelto di restare nel suo paese. Oltretutto, non dimentichiamo che Pino è mancato quando il web stava cominciando a prendere piede e la diffusione della rete, con tutte le sue implicazioni sulla vita quotidiana, si stava rivelando condizione congeniale per lui, tanto che negli ultimi anni, infatti, poteva lavorare da casa e non aveva nemmeno più bisogno di andare fisicamente nelle sale di incisione o nella sua casa discografica. Posso dire che, pur non avendo vissuto in prima persona l’epoca dello smart working, ne è stato comunque un entusiasta precursore».

In un’altra sua lirica, Mango scrive: «Il tempo non è un risultato/ma solo l’insieme delle cose che fuggono». In questo insieme in fuga da quasi un decennio, che cosa ha trattenuto dentro di sé del passaggio su questa terra di suo marito? E quale eredità ha lasciato ai suoi ascoltatori?

«Prima di tutto, mi auguro che il lutto tra i fan di Pino possa metabolizzarsi presto in qualcosa di vitale, così come sta succedendo a me e ai ragazzi. Voglio raccontarle questo episodio: qualche giorno fa, ho pubblicato una foto su Instagram con un verso di una sua poesia che rispecchiava il mio stato d’animo racchiuso in quello scatto. Un fan mi ha risposto: “Quanto ci manca la poesia di Pino”, benché l’avesse davanti ai suoi occhi in quel preciso momento! È un po’ come se, ascoltando un’opera di Mozart, io non prestassi attenzione alla musica, ma mi mettessi a piangere per la sua morte. Pertanto, spero che presto molti fan di mio marito riescano ad intendere la sua opera come un’entità viva, che è il modo esatto in cui lui la intendeva e la vorrebbe oggi. Non aspettiamo che qualcuno lo ricordi, ricordiamolo noi! Quindi, se lo amate, ascoltate le sue canzoni e fatele conoscere ai vostri figli».

Se dovesse scegliere una canzone che sia rappresentativa della sua parabola artistica, quale suggerirebbe ai nostri lettori?

«C’è una canzone di Pino che si intitola Non moriremo mai; la considero il manifesto in cui è riassunta la sua immensa e profonda visione della vita. Questo brano è legato a un aneddoto particolare: era appena morto Fabrizio De André e io, in quei giorni, mi sono trovata a pensare: “E se una cosa del genere dovesse accadere anche a Pino?”. Ho avuto una mezza crisi di panico e ho cominciato a piangere senza riuscire a smettere. Lui, rientrando in casa, mi ha sorpreso in questa condizione, chiedendomene il perché. Due giorni dopo è nata Non moriremo mai e quella è stata la sua risposta. Ogni tanto, quando la tristezza trabocca, la riascolto per cercare di ritrovare un senso a tutto quello che è successo e ritrovare lui».

Non moriremo mai,

Il senso è tutto qui,

mi piace quest’idea

di eternità… non verità

(Mango, Non moriremo mai, da Disincanto, 2002)


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni