Il viaggio in Scozia che ho appena terminato è stato in assoluto uno dei più intensi che abbia mai fatto, non solo per la bellezza dei luoghi che ho visto, per la magia che essi racchiudevano, ma per le emozioni che ho provato, per aver vissuto intensamente ogni attimo.
E poi, per la serie di imprevedibili imprevisti che come al solito, hanno colorato le mie giornate.
Sarò un pó sentimentale, è vero, ma che ci posso fare?
Ma ora, lasciate che vi racconti questa magnifica avventura.
Sono partita giovedì 16 ottobre dall’aeroporto di Roma Fiumicino alle 6 e 55, una brutta levata per una pigra come me, ma sempre meglio una sveglia presto che un aereo perso.
L’aeroporto era stranamente silenzioso, non ho incontrato fila ai banchi e ai controlli di sicurezza.
Il primo imprevisto della lunga serie che mi aspetta, è la partenza con un raffreddore poco pacato e un accenno di febbre che mi sono sforzata di far scendere ne i giorni precedenti.
A ripensarci adesso, quello stupido raffreddore – che ancora non accenna ad andarsene – mi sembra una simpatica barzelletta.
Ovviamente l’aereo decolla in ritardo, e per poco – grazie ad una corsa contro il tempo a Francoforte – sono riuscita a prendere la coincidenza per Aberdeen.
La mia meta è insolita, ma per chi non lo sapesse, Aberdeen è la terza città della Scozia (segue Edimburgo e Glasgow) soprannominata “la città d’Argento” o “di granito”, in quanto i suoi edifici sono stati costruiti tutti con il granito estratto dalle cave intorno ad essa.
Inoltre, è una città ricchissima di petrolio e fiorente per le industrie.
Di fatto, non è una città romantica come Edimburgo, anzi, il fatto che i suoi palazzi siano tutti maledettamente grigi, in una giornata scura, rende difficile distinguere dove inizia il cielo e finiscono i tetti.
Non vi dirò una bugia, non penso che Aberdeen sia una metropoli vivace e frenetica, piuttosto è una cittadina tranquilla, molto adatta alla vita universitaria.
L’Old Aberdeen è l’area in cui sorge l’Università, in cui ho alloggiato e che, francamente, ritengo essere la parte più bella e caratteristica.
L’Università nasce nel 1495 e mantiene ancora molti dei suoi antichi edifici, vi consiglio di passare qualche momento di relax sul prato al di fuori del King’s College, lungo i College Bounds, e vi sembrerà quasi di trovarvi nella celeberrima Hogwarts (di fatti, l’ubicazione sarebbe sempre la Scozia!).
Ad ogni modo, Aberdeen non ha deluso le mie aspettative, Union Street è la lunga strada principale – ottima soprattutto per lo shopping – molto piacevole da passeggiare, specie quando alzando lo sguardo si intravede qualche vecchia costruzione.
Dunque, il mio primo giorno scozzese trascorre abbastanza tranquillo nella già troppo grigia Città di Granito, ma alla mattina del secondo, ci avviamo alla centralissima stazione dei autobus per recarci a Stonehaven e visitare i resti del magnifico Dunnottar Castle.
Visitiamo prima il Castello, che sorge a picco sul mare del Nord.
Sono stata fortunata a vederlo in un giorno particolarmente nebbioso, in quanto ha aumentato l’aurea di mistero un po’ gotico che presenta già al primo sguardo.
Giriamo velocemente le rovine dell’antica fortezza per contemplare più a lungo la vista mozzafiato del mare in tempesta.
Ammetto che ciò che colpisce più di Dunnottar sia il suo paesaggio, suggestivo e incredibile, quasi come se quell’aria tenebrosa che racchiude ci spingesse a restare più a lungo ad osservare le onde che si infrangono contro le rocce.
E’ facile, in una atmosfera del genere, immaginarsi storie di fantasmi e favolose battaglie di eroi tragicamente terminati con un salto nel feroce mare del Nord.
E poi il vento, che ci ha tagliato il viso per tutto il tempo.
Altrettanto meritevole di una visita – ma forse meno interessante – è la cittadino di Stonehaven, tipico villaggio di pescatori.
Deliziosa la spiaggia, ma nulla di più, quindi rientriamo ad Aberdeen, per dedicarci allo shopping e una buona cena, cariche per il giorno dopo.
La meta del terzo giorno è stata sicuramente quella che ho preferito.
Di buon’ora, prendiamo il treno per il centro più importante delle Highlands, regione montuosa del Nord, ovvero Inverness, che si trova all’imboccatura del Moray Firth, il più ampio fiordo scozzese.
Avevamo prenotato i biglietti con molto anticipo, pagando la modica cifra di 16 sterline per andata e ritorno. Non sempre è facile spendere così poco per i trasporti, ma i pullman sono alternative economiche comodissime e funzionali.
Appena arrivate, ci mettiamo di nuovo in viaggio per raggiungere Loch Ness.
Un’oretta dopo arriviamo a destinazione, e già la vista dall’autobus cattura la mia attenzione.
Dietro una fitta rete di alberi, si nasconde una distesa blu scintillante.
Sento che già non vedo l’ora di scendere, pronta per vedere a occhio nudo la magia di quel luogo che per secoli e secoli ha racchiuso leggende e ogni sorta di storia.
Prendiamo il sottopassaggio per raggiungere il piccolo molo con le navi delle Jacobite Cruises e ad accoglierci troviamo una riproduzione abbastanza grande e fedele di Nessie, fantastico ( o reale? ) abitatore del lago.
Loch Ness è assolutamente meraviglioso, immerso nella natura più selvaggia, nel verde più vivido, i colori sono resi ancora più forti dal sole che si riflette nelle sue acque.
Mi sembra quasi di sentire di nuovo l’aria frizzante di Loch Ness, che pulsa e vive di storie lunghe una vita.
Suggestivo e incantevole, è facile anche qui immedesimarsi indietro nel tempo, al tempo di racconti mirabolanti di avventure, cavalieri e mostri.
Durante il nostro percorso con il battello, ci hanno spiegato la storia di quei luoghi (che ora, francamente, stento a ricordare) rievocando la vicenda di Nessie e di un’altra leggenda che narra di due streghe tramutate in due boulders (massi).
L’aria fredda vi penetra nelle ossa , un silenzio assordante vi circonda, l’acqua così troppo scura del lago danno quasi l’impressione che il mostro possa presentarsi da un momento all’altro.
Abbiamo l’opportunità di vedere, ma non visitare, l’Urquhart Castle, di cui sono rimaste poche rovine.
Mi ha ricordato molto Dunnottar, e nonostante io preferisca il primo, anche Urquhart si è difeso bene, specie quando il sole, nascostosi dietro le nuvole, lascia cadere un raggio proprio in direzione di esso.
Insomma, la Scozia è un luogo che richiama continuamente storie di epoche lontane, condite sempre dal suono di una cornamusa e di un goccio di whiskey.
Ritorniamo ad Inverness per pranzo, e stavolta, ci buttiamo su una ricetta tipica: haggis neeps and tatties, ovvero insaccato di interiora di pecora macinate con rognone, farina d’avena e spezie e la rutabaga (neeps) e patate (tatties) entrambe servite a mò di purè.
Non vi lasciate ingannare dagli ingredienti, vi posso garantire che è un piatto delizioso e che va assolutamente provato.
La città di Inverness è piccola ma molto più caratteristica di Aberdeen, in certi aspetti mi ha ricordato un po’ Edimburgo, forse perché presenta edifici più antichi, o forse perché ha un fascino tutto suo che non riesco a spiegare.
E’ meraviglioso passeggiare e soffermarsi a guardare le case e i ponti sospesi sul fiume Ness, come se fossero un quadro.
Consiglio di arrivare fino al Castello, oggi sede del Tribunale distrettuale (Sheriff Court), che riserva una vista incantevole in quanto si erge sulla collina della città, dominandola dall’alto.
Sicuramente tipico è il Victorian Market, una sorta di riproduzione al chiuso di un vecchio mercato di epoca vittoriana (architettura comune nel Regno Unito), con negozi di qualunque genere.
Di per sé, Inverness non ha molti luoghi d’interesse ma l’ho trovata una città alle porte del sogno, nel senso che mi ha fatto immergere ancora di più nell’atmosfera scozzese, fatta di tramonti su laghi e fiumi, che colorano i tetti delle case e cullano con aria tenue.
Non è facile descrivere cosa si respira in questi luoghi intricati di magia e natura, le Highlands sono proprio questo: paesaggi natura selvaggia e pura che si presenta agli occhi e all’anima come una rinascita.
Una vacanza in Scozia, e in particolare nelle Highlands, ha delle caratteristiche peculiari, che non sono adatte ad ogni categoria di viaggiatore. Bisogna saper apprezzare il silenzio, il trovarsi con poche persone a contatto con lo spettacolo della natura, desiderosi di vivere momenti unici con pochissimi altri viaggiatori. Se questo è quello che state cercando la Scozia non vi deluderà e vi rimarrà certamente nel cuore.
A fine giornata, ci aspetta il treno di ritorno, cariche per una nuova meta.
La domenica avremmo voluto visitare Perth, ma a causa di finanze contate, ripieghiamo con una gita più “inusuale” dell’Aberdeenshire: Castle Fraser, a Kemnay.
Dico inusuale poiché quando arriviamo ad Inverurie, cittadina nelle vicinanze del castello, ci viene detto che i mezzi non funzionano di domenica e a meno che non ci procuriamo una macchina, è praticamente impossibile arrivarci.
La catena di eventi non troppi fortunati continua, ma come al solito, non ci diamo per vinte.
L’idea di restare ad Inverurie non ci pizzica particolarmente, in quanto la piazza principale è quella in cui ci ha lasciato l’autobus, per cui, quando ogni speranza sembra essersi consumata, alla stazione dei treni incontriamo un gentilissimo tassista che ci porta a Castle Fraser.
E mentre viaggiamo nell’aperta campagna scozzese, dimenticata da Dio e dagli uomini, capisco perché ci avevano consigliato una macchina.
La posizione è ottima (per un maniero del genere), immersa nel verde, e il castello è in condizioni eccellenti. I curatori sono stati efficienti e molto ben informati, utili le schede di informazioni in ogni camera, che ci hanno aiutato a evidenziare gli elementi specifici di interesse. I giardini sono meravigliosi e la vista dalla cima della torre è incredibile.
Abbiamo mangiato molto bene nella sala tè che si trova nell’antica cucina.
Per essere domenica, lo abbiamo trovato molto frequentato, ma da pochi turisti, erano tutte persone del luogo, o comunque dei dintorni.
Posso dirmi soddisfatta anche di questa meta, così si ritorna verso la base, perché il giorno dopo mi aspetta il ritorno in Italia, o almeno, così pensavo.
Dopo un ultimo giro di shopping, ritornando verso l’Università, il mio telefono riceve un messaggio.
Niente di innocuo, fino a che non leggo il destinatario..
Luthansa mi comunica gentilmente, la sera prima della partenza, che il mio volo è stato cancellato.
All’inizio credevo che fosse uno scherzo, ma poi, quando leggo su internet dello sciopero di 35 ore dei piloti della compagnia, non mi sembra più che si stia scherzando.
Non mi lascio prendere dal panico, inizio a chiamare il servizio clienti e, senza successo, comunico per quasi tre ore con una vocina meccanica che mi dice di non riagganciare per non perdere la priorità acquisita.
Non ci sono voli Lufthansa disponibili fino a mercoledì, e neanche i suoi prezzi mi sembrano tanto avvicinabili, visto che costavano intorno alle 450 sterline.
Anche le altre compagnie si rivelano troppo elevate per le mie finanze e, leggermente scoraggiata, mi metto a letto con l’intenzione di andare comunque in aeroporto.
Ma la mattina dopo per me non ha l’oro in bocca, non ho soldi liquidi, non funziona la carta di credito a nessun ATM e per arrivare all’aeroporto raccolgo gli ultimo spiccioli, ma mi manca comunque un pound.
Ma per fortuna incontro un gentilissimo autista – con un tatuaggio con su scritto “dad” più grande della mia mano – che mi fa comunque salire, permettendomi di arrivare in aeroporto.
Ovviamente, si rivela un viaggio a vuoto, poiché gli addetti Lufthansa non possono fare nulla e non c’è neanche la minima possibilità di rientrare.
In quel momento mi sono sentita davvero smarrita – cosa avrei dovuto fare?
Ritorno all’università e lucidamente ragiono sulle opzioni che ho e la più fattibile è quella di partire il giorno dopo per Edimburgo e prendere da lì un volo alle 6.30 del mattino.
Ma ovviamente l’ultimo pullman per Edimburgo parte alle 8 e un quarto, quindi mi si prospetta una eccitante quanto sgraditissima notte in aeroporto.
Per fortuna, non ci sono intoppi di alcun tipo, il viaggio da Aberdeen ad Edimburgo lo passo a dormire, l’aeroporto è tranquillo, pieno di polizia che vigila attenta.
E così la notte passa, tra uno spuntino, un caffè, un pisolino, una lettura leggera.
E quando mi imbarco non mi sembra vero.
Gli ultimi due giorni – in più – sono passati, e mi lascio alle spalle la terra di Scozia.
Che dire, in conclusione, di questo viaggio?
Fantastico, semplicemente fantastico.
Soprattutto per la mia compagna di viaggio, Giulia, che non solo mi ha ospitata, ma mi ha sopportato in ogni peripezia che mi è capitata.
Ancora una volta, si è rivelata una travel partner prudente e attenta, anche perché sono partita proprio per andare a trovarla, in quanto ha coraggiosamente deciso di fare l’università in Scozia (e potrei aprire una lunga parentesi sull’istruzione inglese, ma magari lo farò un’altra volta).
E poi mille luoghi incantati, ricchi di cultura e folclore, con gente allegra e ospitale.
Gli scozzesi sono un popolo affabile e premuroso, anche se vi sembrerà di sentir parlare il sardo da un inglese.
E’ una terra che brulica di tradizione, abitata da un persone che – nonostante i risultati del referendum – sono attaccate alla propria origini con passione assoluta.
Innamorarsi dei verdi paesaggi della Scozia è molto facile, sembra quasi di venire abbracciati e immersi in una natura vasta ed incontaminata.
Le meravigliose Highlands sono il pezzo forte, simbolo di una terra che non ha smesso di essere viva, ma soprattutto che non ha smesso di lasciarci a bocca aperta.
Il mio consiglio se andare o meno in Scozia? Sì, sì, sì assolutamente sì!!
Come potreste perdere una parata di uomini in kilt che suonano la cornamusa? Come potreste lasciarvi sfuggire una vista nei castelli per sentirvi dei re? Come potreste lasciar andare l’occasione di chiudere gli occhi per respirare a pieni polmoni e desiderare di essere esattamente dove vi trovate?
Perché è stato questo che mi ha regalato la Scozia : il desiderio di non partire mai, di non volermi trovare in nessun altro posto se non lì.
Quindi, non lasciatevi sfuggire una nazione che ha davvero tanto da offrire, perché sarebbe un peccato.