“La vita non è in ordine alfabetico come credete voi. Appare… un po’ qua e un po’ là, come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle dopo, è un mucchietto di sabbia, e qual è il granello che sostiene l’altro? A volte quello che sta sul cocuzzolo e sembra sorretto da tutto il mucchietto, è proprio lui che tiene insieme tutti gli altri, perché quel mucchietto non ubbidisce alle leggi della fisica, togli il granello che credevi non sorreggesse niente e crolla tutto, la sabbia scivola, si appiattisce e non ti resta altro che farci ghirigori col dito, degli andirivieni, sentieri che non portano da nessuna parte, e dai e dai, stai lì a tracciare andirivieni, ma dove sarà quel benedetto granello che teneva tutto insieme… e poi un giorno il dito si ferma da sé, non ce la fa più a fare ghirigori, sulla sabbia c’è un tracciato strano, un disegno senza logica e senza costrutto, e ti viene un sospetto, che il senso di tutta quella roba lì erano i ghirigori.“
Antonio Tabucchi, “Tristano muore”.
Quando Antonio Tabucchi morì nell’ormai lontano 2012 mi sentii triste: non avrei più potuto leggere qualcosa di nuovo. Per fortuna, avevo ancora un po’ della sua produzione passata da scoprire, così, nei due anni successivi, terminai – anche se non del tutto – la sua bibliografia. Accadde che mi sentii di nuovo triste, anzi orfana di una voce letteraria a me cara. Ecco, il fatto fu questo: dovevo cercare un suo erede, come se ciò che lui mi aveva trasmesso con la sua scrittura, si potesse rintracciare altrove. E che cosa ho scoperto? Che non è possibile. Nessuno, per me, sarebbe mai stato degno figlio di uno dei miei scrittori preferiti. Forse perché, ingenuamente, ricercavo qualcosa del suo stile in altri, e ammetto che fu una ricerca infruttuosa. Era il 2014, e per venire a patti con questa consapevolezza, mi recai alla mia amata libreria Mondadori in piazza XI Settembre a Cosenza. Lì, come mille altre volte, dalla mia infanzia a vita adulta, trovai Silverio. Il suo sorriso resta una delle cose più rincuoranti del mondo. Comunque, mi chiese cosa stessi cercando e gli risposi che, in realtà, non lo sapevo bene. Lui mi guardò con un’aria leggera, familiare, poi mi disse “Ti piace Tabucchi, vero? Allora ti consiglio l’ultimo libro di Andrea Bajani, alcuni dicono che sia stato un suo pupillo”. Mi porse questo libriccino, che scrutai senza troppo interesse. Poi, il titolo “La vita non è in ordine alfabetico”. Un mantra, una citazione a me cara, Tabucchi che già echeggia dalle primissime battute. Fui grata al mio amico libraio e lo comprai.
Ciò che mi
colpì, subito, oltre al titolo, fu la prima pagina, una storia, anzi, un
ricordo, di un giorno di scuola alle elementari. Un giorno in cui il maestro
disse ai suoi alunni che le lettere dell’alfabeto sono tutto. Con quelle parole
si “può costruire e distruggere il mondo, nascere e morire, amare e soffrire”.
Da lì, ogni mini racconto è introdotto da una lettera “A”,”B”,”C”, e ciascuna
di loro rappresenta un momento di vita. Un momento che potrebbe essere comune a
molti di noi, un momento che parla di amore, imbarazzo, mattina, tregua.
Iniziai a leggerlo e, come spesso accade, lo lasciai a metà. Per di più, il
libro rimase a Cosenza, non lo portai con me una volta tornata a Roma. Non so
dire perché, e non fu perché non mi piacque, semplicemente andò così.
Cinque anni dopo, per l’esattezza una decina di giorni fa, ho ritrovato
nella libreria della mia stanzetta “La vita non è in ordine alfabetico”. Poi,
come se non avessi mai smesso di leggerlo, l’ho ripreso, dalla A alla Z. Ed
eccolo lì, il primo segno evidente che Niente di ciò che ci riguarda
segue uno schema. Un Ordine. Tutto si presenta in una serie che può
sembrare uguale, ma che in realtà nasconde sotto di sé le trame di un racconto
più vasto e complesso. Ogni nostra routine si compie sotto il dominio di una
lettera. Abitudine. E poi ci si distende lentamente verso strade che si
incrociano e che, ogni volta, sono incredibilmente diverse. Eppure, noi la
vediamo così in maniera chiara. Banalità. Per fortuna, c’è sempre un
particolare che fa sembrare tutto diverso. Sarà un Sorriso, una Carezza
o un Rimprovero, poco importa. Così è dal Dolore all’Amore,
dalla Vita alla Morte che si snoda tutto ciò che ci circonda, e
questa da un lato mi conforta e dall’altro mi terrorizza. Opposti.
Passato, Presente, Futuro. E’ così che il tempo si
condensa e ci assorbe, trascorrendo.
Per questo, durante la lettura, mi sono sentita investita dal peso di quelle storie, come se quelle, messe così perfettamente insieme, pronunciassero il mio nome. Come se, quei timori e quelle fragilità raccontate, fossero proprio le mie, quelle che nascondo nei fondi dei cassetti e che temo di ritrovare. Mi fanno proprio paura, come le Assenze sul registro alle elementari. Tutto il libro è un pervaso da un “tu”, protagonista polivalente. Quindi tu, che poi sarei io? Si racconta di un braccialetto risucchiato dallo scarico della doccia che mi ha spinto, d’impulso, a pensare agli oggetti ai quali ho affidato i miei desideri. Desideri non ancora avverati, quelli che, purtroppo, scivolano via da noi quando qualcosa si rompe, lasciandoci con la sola possibilità di guardarli cadere. Ho avuto il cuore stretto in una morsa quando, nel ticchettare di un vecchio orologio, si udiva il cuore di un’amica scomparsa da tempo.
Nonostante i nostri tentativi di mantenere tutto in ordine – cassetti, armadi, cantine – alla fine, qualcosa, anche minuscola, si sottrae al nostro paradigma. Per questo, il giorno in cui ci siamo prefissati di andare a fare la spesa accadrà che dimenticheremo la tessera o si romperanno le buste; capiterà che quando dovremo attraversare tutta la città ci sarà sciopero dei mezzi. Magari qualcosa o qualcuno si metteranno sul nostro percorso, intralciando o facilitando il cammino. Succederà che poi, inevitabilmente, un progetto salterà all’aria, una persona cara ci lascerà, un amore si chiuderà in soffitta. Come, poi, per fortuna, tutto tornerà chiaro e, da una piccola parola, o da un tramonto nuovo, ritornerà il Sereno.
Nostalgia. E’ questo che mi hanno fatto provare
questi densissimi 38 racconti. Ciascuna di quelle lettere mi ha spinta a
ragionare, in ordine sparso e irrazionale, a tutto l’alfabeto della mia vita di
giovane adulta e non solo. Per quanto gli ingranaggi, a volte, ci appaiano
difettosi, basta dargli una ripulita o un piccolo colpetto. Poi riprendono a
scorrere.
Quindi no, per quanto ci possiamo sforzare di far rientrare in
quell’ordine, in quelle 21 lettere, la nostra esistenza intera, alla fine, per
fortuna o sfortuna, la vita in ordine alfabetico proprio non ci sta. Perché ha
i suoi tempi e i suoi modi di spiegarci le cose. E no, un ordine non
esiste e tanto meno delle istruzioni per sistemarle, le cose. Semplicemente succedono
e non ci rimane che chiamarle per nome.
Non so dire se Andrea Bajani sia un diretto successore di Antonio Tabucchi, perché, se è vero che Paganini non ripete, allora nessuno sarà mai per me come lo scrittore pisano.
Posso dire che, pagina dopo pagina, ho avvertito, chiudendo gli occhi, quella “suadade”, nostalgia del passato che ti apre il cuore come un leggero colpo di vento. Un sentimento tipico del mio beniamino letterario e di quella splendida cultura portoghese che tanto amava. Quindi sì, Andrea Bajani ha fatto un ottimo lavoro, ma a me, Antonio Tabucchi mancherà sempre!