Venti ha deciso in questo numero di farvi immergere nelle opere e nella vita di uno dei più grandi artisti del Barocco, ossia Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Nato a Milano nel 1571, imparò il colorismo veneto e la morale seguita dal cardinale Borromeo. A circa vent’anni Caravaggio si stabilì a Roma e raggiunse una certa fama dovuta in parte all’incontro col cardinal Del Monte, mecenate romano. Nella città eterna condusse una vita sregolata, costellata di losche frequentazioni. Nel 1606 uccise un uomo in una rissa e fu costretto a fuggire a Malta, dove entrò a far parte dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni. Risalì di nuovo la penisola e nella speranza di ricevere la grazia dal Papa, morì a Porto Ercole. Ruppe con il passato in modo netto rappresentando il reale, seguendo l’estetica Aristotelica. Prendiamo ad esempio il “Riposo durante la fuga in Egitto”.
La Madonna cede alla stanchezza per il lungo viaggio e si addormenta, indebolita come una persona qualsiasi. San Giuseppe è rappresentato con i piedi terrosi con affianco un mulo e ha per terra un fiasco di vino. Regge uno spartito letto da un angelo che suona un violino. Quest’ ultima figura esprime l’ idea che nel’ arte, come scrive Argan, “la pratica dei vecchi (San Giuseppe, n.d.r.) non serve a nulla; l’ispirazione o il furor, detta una nuova prassi”. Caravaggio desidera che il fruitore si senta contemporaneo all’azione descritta così da far percepire che ciò che rappresenta possa capitare a chiunque; descrive un attimo perché, ancora Argan, “dell’evento immediato non conosciamo le cause e gli effetti; non possiamo distaccarcene”. Ovvero, possiamo solo viverlo.
Nella “Vocazione di San Matteo” Gesù chiama il santo mentre è intento con altri a contare i soldi. Il pittore coglie l’attimo in cui avviene lo stupore di Matteo, tanto da far pensare allo scatto di un’istantanea. Qui Gesù è in ombra, se ne scorge solo il profilo e la mano che indica san Matteo, sulla quale passa un raggio di luce che illumina i presenti. Tra loro, alcuni si voltano stupefatti, altri sono troppo impegnati a contare i denari per accorgersi del miracolo che stava avvenendo.
Secondo la tradizione San Matteo morì in Etiopia durante la celebrazione eucaristica per colpa del re del luogo Hitarco, che inviò un sicario ad ucciderlo. Quest’ultimo è rappresentato da Caravaggio in un nudo con il volto trasfigurato mentre sovrasta il santo steso a terra che cerca di fermare l’aggressore con il braccio alzato, bloccato dal carnefice. Nella tela in alto si trova una nuvola con un angelo che porge al santo la palma del martirio. La scena si svolge ai piedi dell’ altare, con gli astanti sconvolti, che si allontanano. In questo quadro vediamo la brutalità del carnefice al centro del quadro che non viene celata o esorcizzata, come avevano fatto altri prima di lui, ma serve anzi ad enfatizzarne la condizione di protagonista della scena.
Caravaggio ha un atteggiamento pietistico che mira “all’unità spirituale dei fedeli” attraverso la fede e la carità e popola le sue tele di persone umili perché è proprio in loro si coglie il divino. Anche ne “La Madonna del Rosario” è affrontato questo tema. Qui la Vergine col bambino fa un cenno a San Domenico, con in mano un rosario, perché soccorra i poveri che tendono le mani verso di lui. Alla sinistra della Madonna si trova un frate che si rivolge al fruitore rendendolo partecipe di ciò che è rappresentato nella tela, e quindi al divino. Dunque Caravaggio, nonostante il temperamento iracondo, lascia esprimere alle sue opere una parte di sé che rivendica un profondo senso morale – testimoniato dalle continue rappresentazioni dell’aiuto ai più deboli -, una visione del mondo acuta che ne sottolinea il male e la brutalità ed un uso dei colori di maestria tale da eguagliare i grandi pittori del colorismo veneto.