19 anni fa Hillary Diane Rodham Clinton viene eletta al Senato degli Stati Uniti per lo Stato di New York, conquistando il titolo di prima First Lady ad ottenere un incarico parlamentare. Ma questo non è il suo unico primato. Infatti, fu anche la prima avvocata ad essere ammessa come socio nel Rose Law Firm, uno degli studi legali più antichi d’America, e prim’ancora, divenne la prima studentessa nella storia del Wellesley College – dove si laureò in Scienze Politiche – a presentare la cerimonia di consegna dei diplomi: i giornali dell’epoca parlano di un discorso che ha innescato 7 minuti di ovazione.
La sua biografia è tutt’altro che banale, e si colora di tante – forse troppe – sfaccettature politiche.
Classe ’47, nata a Chicago da padre imprenditore tessile e madre casalinga, Hillary si laurea in Scienze Politiche e da repubblicana diviene democratica: questo cambio di orientamento è determinato, stando alle sue stesse dichiarazioni, dalla morte di Martin Luther King, che aveva incontrato personalmente nel 1962, e dai tragici risvolti della Guerra in Vietnam, a partire dai quali dichiara di avere a cuore i diritti degli ultimi.
Dopodiché, decide di intraprendere una nuova carriera accademica di stampo legale e ad Harvard preferisce la Yale Law School, perché ad un ricevimento per potenziali studenti un professore di Harvard le intima: «Non abbiamo bisogno di altre donne».
Diviene avvocato di prestigio e docente di diritto penale all’Università dell’Arkansas; nel 1975 sposa Bill Clinton – dopo avergli detto di no per due volte, ma mantiene il cognome Rodham, nonostante negli Stati Uniti solitamente le donne prendano il cognome del marito dopo il matrimonio.
Si vedrà “costretta” a cambiare il suo nome in Hillary Rodham Clinton a causa dell’impopolarità del marito successiva al primo incarico di governatore dell’Arkansas. Fra gli altri compromessi a cui cede per favorire la carriera di Bill, Hillary sostituisce gli occhiali con le lenti a contatto ed assume un consulente di stile: tutto ciò accade nel 1982, anno in cui Bill Clinton annuncia la sua ricandidatura a governatore dell’Arkansas e viene rieletto per altre 4 volte consecutive fino al 1990.
Nel 1993 il grande salto di qualità: da first lady dell’Arkansas, Hillary passa a first lady degli USA, titolo che mantiene fino al 2001. In questo frangente si impegna nella riforma sanitaria proposta dal marito, si fa promotrice dei diritti delle donne e perdona Bill dopo lo “Scandalo Lewinksy”. Quando salta fuori che l’ex presidente ha avuto una relazione con una stagista della Casa Bianca (Monica Lewinsky), la moglie dichiara che Bill ha semplicemente vissuto «un momento di debolezza».
Ma la carriera politica autonoma di Hillary Clinton sboccia ufficialmente proprio il 7 novembre del 2000, quando viene eletta senatrice per lo Stato di New York col 55% dei voti. Nel frattempo, sostiene l’intervento militare americano nelle guerre in Afghanistan, Iraq e Libia, guadagnandosi la fama di “falco”.
Ad ogni modo, un paio di sconfitte le ha collezionate anche la nostra Hillary: infatti, nel 2008 la Clinton perde le primarie del Partito Democratico contro Obama, mentre a novembre 2016, perde contro tutti i pronostici le elezioni presidenziali contro il repubblicano Donald Trump.
Fra particolari vicinanze a grandi donatori, lobby e interessi che non rientrano tipicamente fra gli ideali del Partito Democratico, nel corso del tempo la Clinton non si è fatta mancare qualche scandalo, il più noto e recente dei quali è “Emailgate”. Nel 2015 viene reso pubblico che, mentre era segretario di Stato – carica analoga al nostro ministro degli esteri, la Clinton aveva inviato una serie di e-mail da un indirizzo di posta elettronica privato per scambiare comunicazioni istituzionali e informazioni riservate, oltre a 22 documenti classificati come top-secret. Tuttavia, al termine dell’inchiesta, l’FBI giudica il comportamento di Hillary Clinton «estremamente negligente» ma «non passibile di azione penale».
Si conferma maestra nell’adattarsi alle circostanze a seguito della bruciante sconfitta contro Trump alla corsa alla Casa Bianca del 2016, quando, in prima battuta, riconosce la vittoria al suo rivale e si dice pronta a collaborare col neopresidente per il bene e l’unità del paese; ma, 2 anni dopo, lancia un movimento di resistenza politica, Onward Together, per fare opposizione a Trump.
A partire dalla bruciante sconfitta contro l’attuale Presidente degli Stati Uniti, l’ex senatrice si è concessa solo qualche cerimonia istituzionale, è intervenuta in alcune conferenze, ha pubblicato “What Happened”, un libro in cui fa chiarezza su alcuni fattori che hanno determinato la sconfitta alle elezioni presidenziali ed ha dichiarato di non volersi candidare alle primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali previste nel 2020.
A giudicare dal suo quadro biografico, non sorprenderebbe se cambiasse idea nel prossimo futuro, tornando a rendersi protagonista di campagne elettorali o di fatti di cronaca rosa.