Sembrerebbe che la battaglia di gay e lesbiche italiani per vedere riconosciuti i propri diritti sia giunta a un epilogo felice. Certo con un po’ di ritardo rispetto alle altre democrazie occidentali e con una formula, quella delle unioni civili, un po’ ambigua, che sembrerebbe non volerle equiparare a un vero e proprio matrimonio, ma si tratta comunque di una conquista. Una conquista epocale, paragonabile al suffragio universale o all’abolizione del divieto di matrimoni interraziali. La legge dovrebbe essere pronta per settembre, poi discussione e voto. Le unioni civili si ispirano al modello della civil partnership, nata in Inghilterra e attualmente in vigore in Germania. I 17 articoli della bozza del testo di legge trattano di eredità, diritti di assistenza, reversibilità della pensione, delega per le decisioni mediche in caso di malattie debilitanti, fino alle disposizioni per il funerale e la donazione degli organi. Altra importante conquista è la stepchild adoption, ovvero la facoltà di adottare il figlio del partner. Dunque, gli stessi diritti garantiti alle coppie eterosessuali, con l’unica eccezione che alle coppie omosex non è consentita l’adozione di bambini.
Emergono già le prime resistenze da parte dei partiti centristi, in particolare dal Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, ma Renzi dovrebbe avere dalla sua i 5 Stelle e tutta la Sinistra radicale. Anche Berlusconi apre alle unioni civili, ma, dice, “purché si tratti di un traguardo ragionevole”. Ma i tempi sembrano abbastanza maturi, data l’epocale svolta della Chiesa dalla condanna a un sentimento di accoglienza e date le linee guida dell’Unione Europea. Del resto, dovrebbe importare qualcosa allo Stato dell’orientamento sessuale dei suoi cittadini? Esistono, forse, affetti migliori di altri? No, lo dice l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che sancisce il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale. Essere gay o lesbiche non è né un merito né un demerito, è una cosa che capita.
Tutti coloro ai quali le unioni omosessuali non vanno giù dovranno, insomma, farsene una ragione. Come scrive il professor Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, ‹‹è ragionevole dire “io sono personalmente contrario al matrimonio gay” se questo significa “non intendo sposare una persona del mio stesso sesso”. Non lo è se significa “sono personalmente contrario a che lo facciano gli altri”››. Perché non è una questione di opinioni, di idee e moralità, è una questione di diritti e di diritto. E, il diritto, da che mondo è mondo, deve seguire i fatti, ignorando eventuali resistenze al cambiamento, specialmente se tali resistenze sono dettate dal pregiudizio. I concetti di famiglia e matrimonio non possono ritenersi cristallizzati, perché il diritto è duttile, segue le trasformazioni dell’ordinamento e l’evoluzione della società e dei costumi.
Verso il matrimonio. Nel 2007 il sindaco (repubblicano!) di San Diego ha affermato: ‹‹Due anni fa credevo che le unioni civili fossero una giusta alternativa. Ho cambiato idea. Il concetto di un’istituzione diversa ma uguale è qualcosa che io non posso sostenere››. Il riconoscimento di uguali diritti agli omosessuali contribuirebbe in modo determinante e prosciugare i sentimenti omofobi. Le legittimazione sul piano civile e giuridico è il primo passo verso una società libera e paritaria. Relegare gli omosessuali a cittadini “minori”, a cui è riconosciuto un surrogato del matrimonio, è delegittimante. Quindi, l’obiezione che “l’importante è che vengano riconosciuti i diritti di due singoli e non di una coppia” non regge. Il riconoscimento dell’uguaglianza tra gay e etero non è una faccenda privata, ma una questione pubblica.