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Una questione di prospettiva

È una questione di prospettiva, è quello che dicono tutti: visione, lungimiranza, progettualità, pianificazione strategica e chi più ne ha più ne metta ma – alla fin fine – di prospettiva parliamo.
Nel tragicomico ballet che è andato in scena (e che, si spera, sia chiuso con l’incarico a Draghi) da quando il leader di IV – si, lo stesso che aveva detto di voler abbandonare per sempre la politica – ha deciso di aprire la crisi di governo, tutti hanno discusso di prospettiva.

Ne hanno fatto una bandiera i sostenitori di questo Recovery Plan, dal Presidente Sassoli ai vari esponenti della (fu) maggioranza.
Ne hanno fatto una bandiera anche i detrattori, ma in un’ottica differente, come ad esempio i due Mattei.
L’uno, oltre a contare le cose con le dita fissando la telecamera, ha in diverse salse pontificato dall’opposizione che l’unico Governo idoneo a garantire una prospettiva di crescita sarebbe il suo, ossia un esecutivo di destracentro, che ha già pronto un altro Plan di gran lunga migliore di quello da ultimo licenziato. Tra l’altro, l’esecutivo di destracentro è quello che avrebbe anche rifiutato buona parte del Recovery Fund.
L’altro Matteo, dopo aver dato fondo ai peggiori (o migliori, a seconda di come la si guarda) istinti di cinismo politico, ha rivendicato la frattura, inevitabile data l’assenza di visione e progettualità del bisConte.

Una questione di prospettiva che, sebbene in parte chiusa dall’affidamento dell’incarico a Mario Draghi, lascerà pesanti strascichi.
Eppure, la politica italiana si trova a fare i conti anche con un’altra questione – quella di sempre – quella morale, che forse ingloba in sé anche l’altra, costituendone antecedente logico necessario.

Si è molto discusso negli ultimi giorni di responsabili, costruttori, poltrone, peones e mercato delle vacche, esponendo il premier dimissionario e la sua maggioranza alle facili accuse di incoerenza, contraddittorietà e doppia morale.
Il che può anche starci: quando altri – ed è capitato – hanno fatto ricorso ai tanto vituperati responsabili, sono stati violentemente attaccati proprio da coloro che oggi, con il lanternino, responsabili vanno cercando.
Certo, le condizioni sono molto diverse: c’è la pandemia, la recessione, la fine del settennato di Mattarella.
Però, i veti incrociati, i paradisi promessi e persi, le vendette personali e i sassolini nelle scarpe c’erano allora e ci sono oggi.

Ad ogni modo, all’alba di una nuova stagione di ricostruzione, forse sarebbe il caso di cambiare innanzitutto il modo in cui la politica si racconta, oltre a come la si fa.
E questo compito è trasversale: ne sono onerati i leader politici, senz’altro; ma anche i commentatori, i media, il popolo tutto. Bisognerebbe finirla una volta per tutte di interpretare la politica come la serie A e la formazione di un Governo come la vittoria dello Scudetto.

In primis, non è vero che questa crisi è incomprensibile, nessuna crisi lo è.
Machiavelli, nel celebre capitolo XVIII del Principe, suggeriva che – per mantenere il principato – è necessario servirsi dei mezzi adatti sia alla bestia sia all’uomo, a seconda delle necessità.
Se si dovesse interpretare quanto successo (mentre si scrive siamo alle consultazioni) con le categorie machiavelliane, questa crisi sembrerebbe tutt’altro che incomprensibile. Ci troviamo di fronte a diversi aspiranti Prìncipi che, in questo momento, ritenendolo necessario, stanno ricorrendo ai mezzi delle bestie per mantenere o acquistare il principato; il che – a ben vedere – con la morale non c’entra niente. Machiavelli non ha mai giudicato l’azione immorale come migliore o superiore rispetto all’azione morale, ed è esattamente questo l’equilibrio che sarebbe ideale raggiungere.

Smetterla di farsi – a giorni alterni – depositari del senso etico assoluto, sbandierando le colpe dell’uno o dell’altro come se si trattasse di un derby qualsiasi, per poi – una volta finito tutto – racquetarsi per prepararsi al prossimo sfoggio di nobiltà e coerenza spirituale. Facile così, ma la storia politica italiana ha già constatato quanto inutile possa rivelarsi affidare alla leva morale il sollevamento di una classe dirigente inadeguata.
Il facile giudizio morale è distruttivo quando totalmente sovrapposto al giudizio politico. A prescindere dalla questione di prospettiva.
Il passaggio è epocale e siamo chiamati tutti ad una comune assunzione di responsabilità, sia chi fa sia chi guarda, ricordandoci tutti – tutti! – di non trovarci al Bar Sport.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

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