Il 23 maggio 1992 è una data bene impressa nella mente di tutti gli italiani, una data che ha cambiato il corso della storia politica e sociale del nostro Paese.
La prima delle stragi di mafia che ha portato alla morte del Giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo e che ha dato simbolicamente inizio ad una lunga scia di sangue che ha trascinato la Sicilia e il Paese intero in una battaglia non ancora vinta contro la mafia. Da quel giorno nulla è stato più come prima e l’Italia si è risvegliata da un torpore che ha permesso di guardare in faccia la realtà, quella della mafia viva e crudele che non si ferma davanti alla legge e sfida lo Stato a viso aperto.
Da quel maggio del ’92 la mafia è diventata un problema di tutti gli italiani, tutto il Paese ha dovuto affrontarla e rendersi conto che non si poteva più restare indifferenti, ma bisognava agire. La principale arma per combattere la mafia è sicuramente la cultura, l’educazione alla legalità, la consapevolezza che le cose possono essere (e vanno) cambiate per il bene di tutti. Come ricorda Maria Falcone: “Giovanni diceva sempre che per sconfiggere la mafia non bastava la repressione. Ma era necessario combatterla nel campo culturale” e proprio dalla cultura, dagli insegnamenti che personaggi come Falcone e Borsellino ci hanno lasciato in eredità che bisogna ripartire, affinché il 23 maggio 1992 non resti solo una data da ricordare, ma diventi il punto di partenza di un cambiamento sociale. Tenere viva la memoria di coloro che hanno combattuto la mafia con tenacia e dedizione è un gesto tanto dovuto quanto fondamentale. Quindi, da quel 23 maggio 1992 quante cose sono cambiate? Sicuramente ancora troppo poche, la strada è ancora lunga e in salita, ma piccoli passi sono stati fatti lungo la strada del cambiamento per estirpare definitivamente la mafia dalla società.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni