Travolti da un insolito destino nel mare… di gin

Intervista alla cantautrice Eda Marì

Incontro Eda Marì in una mattina di primavera e mi accorgo subito dell’energia travolgente che sprigiona, della voce calda e avvolgente, della forza di un’artista che non ha il timore di mettersi a nudo. Non ci troviamo di fronte solo all’ex concorrente di un talent show: è molto di più e in lei convivono la passione per la musica e per la danza.

«Ho iniziato a studiare danza da piccola – racconta – grazie a mia madre che gestisce una scuola. Anche la musica mi accompagna da sempre, penso di aver cominciato proprio sognando di diventare una cantante. Non mi sono mai sentita obbligata a fare un’attività extra, andavo a danza perché era la mia vita e lo è ancora, come la musica. È sempre stato così, i due mondi vivono perché ci sono tutti e due».

Una questione di passione, insomma.
«È la passione che muove l’arte, se non c’è amore non si va da nessuna parte».

Non solo canto e danza, ma anche scrittura. Quanto è importante per te?
«La scrittura conta tantissimo, è un’altra delle passioni che coltivo fin da piccola. Mi piaceva scrivere le mie stesse canzoni, l’ho fatto fin da subito. Anzi, quando non scrivo, sto male e mi succede la stessa cosa quando non faccio danza e non canto. Quando faccio tutte e tre le cose – comunque c’è sempre bisogno di essere ispirata, vivere determinate sensazioni – divento il super uomo di Nietzsche».

Qual è la prima canzone che hai scritto?
«Sono due, in realtà. La prima la cantavo sempre ai miei genitori, si intitolava “Capello”, potrebbe essere una canzone indie (ride,ndr). Avrò avuto circa quattro anni, non l’ho proprio scritta, semmai composta, e grazie ai miei genitori vive in me il ricordo di questa canzone che era anche un po’ recitata. Immaginavo e raccontavo di un prato in cui c’era una scatola gigante che racchiudeva un capello e iniziavo poi a cantare la canzone. Si può dire che io sia nata così. La seconda, invece, l’ho scritta a dieci anni per un’amica e parlava di amicizia. Probabilmente sono le mie uniche due canzoni felici (ride,ndr)».

Cosa significa crescere a San Lucido e fare arte partendo da lì?
«Crescere a San Lucido e fare arte è una fortuna grandissima. Se non avessi fatto danza o musica, penso che ora sarei sposata – vista ancora come una cosa cui ambire – e non sarei stata felice. Avere nel proprio paese realtà che spronino i ragazzi, che provino a far fiorire in loro qualcosa che rappresenta una possibilità, è una fortuna ed è anche una missione. È difficile pensare di dover rimanere qui, ma non è nemmeno impossibile: amo il mio paese, amo le persone del mio paese e mi dà fastidio essere sempre accostata alla mentalità calabrese. Penso piuttosto che riguardi l’individuo: ognuno di noi dà e un ruolo e un’importanza a quello che fa. Cerco di staccarmi anche dagli stereotipi, ma non è semplice, anche perché in un modo o nell’altro, nella danza o con l’arte, casco male (ride)».

Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
«L’amore, purtroppo (sospira,ndr). Le storie d’amore, quello che ho vissuto, pensare di volere una persona. Faccio tutta la dura, ma poi sono una tenera, basta pochissimo e mi perdo, poi mi devo riprendere e poi ricomincia tutto da capo. L’amore è la cosa più bella della vita, che sia l’amore per i miei cani, per mia madre, per una persona; è inevitabile».

Cosa ti ha lasciato l’esperienza di X Factor?
«È stata l’esperienza più forte della mia vita. Ci penso spesso, ora sono passati quasi due anni e diventa tutto chiaro, ma subito dopo è stata tosta. Ho vissuto l’anno più strano dell’umanità nella mia camera, sono uscita da lì e mi sono ritrovata a X Factor senza un percorso graduale. Mi sono detta “Oddio, e ora?”, non sapevo cosa fare: è stata un’esperienza bellissima che mi ha lasciato i compiti a casa, sto realizzando ora cosa fare e come farlo. Prima ero un po’ traumatizzata, forse avrei preferito godermela. Per come sto vivendo ora e per quello che è scattato in me, lo rifarei e per come mi sento e come ho voglia di fare le cose, è come se avessi trasformato ciò che ho dentro in rabbia buona».

Cosa c’è nella tua playlist?
«Regnano il rap e la trap, poi anche pezzi indie e il mix soul che mi fa viaggiare. Ricordiamo poi che io insegno danza ai bambini e, per questo motivo, sono preparatissima sulle colonne sonore di Encanto, Frozen, ecco mi emoziono molto con Frozen».

Arriviamo al singolo “Mare di gin”, com’è nato?
«Ho iniziato a scrivere questa storia subito dopo X Factor. Stavo al bar, sempre con lo stesso jeans, perché non avevo voglia di fare altro se non andare a bere: pian piano è diventata un quadro, ho iniziato a ispirarmi anche ad altro, a vedere oltre il bicchiere. Ho provato a raccontare il loop alcolico, ma anche una sorta di storia. Per quello che stavo vivendo mi sentivo comunque in attesa di qualcuno e di qualcosa, come al solito, e questo mi faceva distrarre. Pensavo al mare di gin, ma mi faceva stare male, e ho cercato di mescolare emozioni e sensazioni come si fa con i cocktail. Non so se ci sono riuscita.

Un’attesa da trascorrere col bicchiere in mano, più che una canzone d’amore?
«Sì, penso che la mia canzone d’amore non esista, devo ancora scriverla».

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Arriverà prestissimo un EP, che avrà un filo conduttore, ma anche temi, sonorità, produttori, musicisti diversi e tanta libertà».

A quasi due anni dalla partecipazione a X Factor, Eda Marì è cresciuta e la sua musica con lei. Statene certi: sentiremo parlare di lei.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni