Siete pochini, in effetti. Ma date speranza alla vecchia zia che è in me.
Che il vostro canale di riferimento per gli acquisti sia il web oppure la libreria di fiducia in quell’angolino della città illuminato in modo cooosì carino oppure ancora quella patinata libreria con il logo del franchasing in bella mostra, l’importante è che si comprino. E che si regalino con criterio.
Ecco, la scelta di un libro non è sempre così facile. Bisogna badare ai gusti del singolo, all’eterno dilemma “Ce l’ha? L’avrà letto?”, così molto spesso si lascia cadere lo sguardo sulle classifiche di vendita. Errore da dilettante che, spesso, commetto anche io. Le classifiche di vendita non sono il reale specchio del valore del frutto del mercato editoriale nell’anno solare.
È per questo che la vecchia zia armata di occhiali e segnalibro ha deciso di cogliere la palla al balzo e di propinare a voi lettori di Venti la classifica personalissima dei cinque flop e dei cinque imperdibili del 2014.
ALERT: la classifica non contiene spoiler. Inoltre, nasce dal puro gusto personale e da vent’anni di lettura accanita. Ogni critica verrà passata al vaglio con una fetta di pandoro in mano e farà la fine delle focare di paese. Ergo, verrà ridotta in cenere.
I GRANDI FLOP EDITORIALI DEL 2014
N*5) Partiamo da casa nostra, partiamo da un fenomeno nato sul web e poi approdato -udite udite- in casa Mondadori. Si tratta di Massimo Bisotti e de “Il quadro dipinto”. Copertina blu patinata, scrittore con l’aria da maledetto che tira fuori perle come “#maicontrocuore” che nessuno, dal più cinico al più fatalista, passando per il neo romantico, si sognerebbe mai di contraddire. Ma. Dal dolce hashtag alla sezione Narrrativa ne passa. Il caro Massimo, di cui sono persino follower su Instagram perché se vuoi stanare il nemico devi conoscerlo, non ha tutti i torti. Ma manca di qualcosa. Le sue pagine ricordano troppo lo Sparks grazie a cui la mia generazione ha versato ettolitri di lacrime e il Moccia nostrano che preferiamo non vedere mai più sugli scaffali.
VOTO: rimandato a Gennaio. Oppure in primavera, sul banco della sua prossima fatica letteraria.
N*4) Cosa diamine ci fa Francesco Sole (al secolo Gabriele Dotti) nella sezione Narrativa con un ammasso di post it dal titolo “Stati d’animo su fogli di carta”? Ebbene, sì. Il potere del marketing fa sì che anche una raccolta di colorati foglietti adesivi possa finire in libreria, sotto la gloriosa sezione di Grossman o Calvino. E vabbè, vecchia Maria Teresa. Rassegnati e criticali. Per chi fosse interessato, segnalo la scia di mollichine di pane dell’hashtag #selvaggianonmentire, i canali youtube dellimellow e nonapritequestotubo. Brevemente: il caro Sole è un prodotto commerciale, i suoi creatori negano – manco fosse un giovane Frankenstein – mentre lui continua a vendere libri, a guadagnare clic e a fare il burattino di fianco a Belen nella prima serata di Canale 5.
VOTO: non pervenuto.
N*3) Wilbur Smith torna con “Il dio del deserto”. Fissando la mia libreria personale, zeppa dei suoi tomi precedenti, mi chiedo semplicemente: perché? Smith sembra aver perso quel suo stile così pungente e meticoloso, quel suo je ne sais quoi che attirava il lettore dalla prima pagina fino alla quarta di copertina. Wilbur, ci vediamo alla prossima.
VOTO: 5. Sulla fiducia.
N*2) John Green torna con “Teorema Catherine” è un romanzo che definirei singolare e potenziale. Come già in “Colpa delle stelle”, l’autore tira fuori dal suo cilindro gustosi escamotage come i commenti a piè pagina oppure aneddoti sparsi qua e là, ma manca qualcosa. Manca ancora la credibilità di una storia d’amore che non cada nei cliché e nella banalità.
VOTO: 5. E’ bravo ma non si impegna.
N*1) Ogni libro di cucina scritto da conduttori televisivi. Cioè, il 40% dei tomi messi in bella mostra. La cucina è arte, amore, cura, improvvisazione: mai, in questi libri, ho ritrovato qualcosa del genere. Che tornino dietro i microfoni, ché alla cucina ci pensano le nonne e gli esperti del settore.
Avete digerito questa portata di qualunquismo, cinismo, rabbia letteraria?
Passiamo allora a quel che, secondo l’umiltà della sottoscritta, vale la pena incartare per Natale. Il posto in classifica è meramente indicativo.
N*5) Ken Follet e “I giorni dell’eternità”. Una trilogia intensa ed appassionante che nasce negli anni 60 ed in piena guerra fredda. Per chi ha amato “I pilastri della Terra”, per chi Ken Follett lo vedrebbe credibile persino nel riscrivere l’oroscopo di Paolo Fox, per gli amanti della buona letteratura, per gli appassionati di storia, per chi sa farsi assorbire dal groviglio di narrazione e ricostruzione storica.
VOTO: 8.
N*4) “L’amore che ti meriti”, Daria Bignardi.
A me la Daria sta simpatica, ma proprio tanto. Questo libro appare tra le mie mani come un dono al momento giusto e non riesco a separarmene fino alla parola “FINE”. Un viaggio nei segreti di una famiglia come molte altre, affrontato con la testa pe(n)sante ed il cuore leggero. Un finale inatteso, agro dolce, che fa venir voglia di sorridere ed allungare la mano per accarezzare la nuca di chi meritiamo. E ci merita.
VOTO: 10. Leggetelo e capirete il perché.
N*3) David Grossman torna con “Applausi a scena vuota”. Mi fermerei qui, timidamente. Consegnerei il libro tra le mani del mio interlocutore ed attenderei lo scoppiare della magia che ogni opera di Grossman porta con sé. La ricostruzione di una giornata lontana, un palcoscenico deserto, un grido che squarcia il buio ed il silenzio.
VOTO: 10. A voi, la magia.
N*2) Gianrico Carofiglio apre la porta all’avvocato Guido Guerrieri
Ricordate cosa troviamo appeso nel suo studio? Brecht, “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati” ed un manifesto che ritrae due bambini palestini seduti sulle macerie. Un personaggio controverso, che dialoga ad alta voce, ha dato un nome al suo sacco da boxe, lavora con lucidità ma cade in situazioni personali a dir poco intricate. Accetta di difendere un amico magistrato, incontra l’investigatrice Annapaola… Ma il resto, miei lettori, lo troverete solo nel libro.
VOTO: 9. Intenso, intensissimo.
N*1) Chiara Gamberale e Massimo Gramellini: le garanzie della narrativa italiana, per la prima volta insieme con “Avrò cura di te”. L’incontro di Gioconda detta Giò con il suo angelo custode Filemone. Luminoso, anzi, quasi accecante questo libro che narra uno scambio, un’interiorità perduta. Il finale sorprende e confonde. Ma, soprattutto, riannoda le fila.
VOTO: 10. Perfetto. Scava un buco nel cuore ed insegna a riempirlo.