Mi chiamo Angela, sono bianca, occidentale, istruita, cisgender ed eterosessuale. Una serie di etichette certamente distanti dalla realtà dei fatti, come lo è ogni nomenclatura che si impone l’obiettivo di risolvere il prisma complesso dell’essere umano. In ogni caso, sono una donna fortunata: in quanto cisgender ed eterosessuale, aderisco perfettamente al mio ruolo sociale stereotipato.
In poche parole sono nata con la vagina, mi sento donna e mi piace il sesso opposto. E se così non fosse?
Se io non fossi nata biologicamente donna ma mi sentissi comunque tale e avessi intrapreso un percorso per assumere quei connotati? Sarei una crisalide, quello stato post-embrionale transitorio che in natura e, nello specifico, nei Lepidotteri, permette al bruco di divenire farfalla. Nella società, secondo quella serie di convenzioni e di etichette che tendono a svilire l’essere umano e la sua unicità, sarei una ragazza transgender.
In poche parole, a prescindere dal mio orientamento sessuale (che nulla ha a che vedere con l’identità di genere), mi troverei ad affrontare un lungo e doloroso percorso per raggiungere il mio genere di destinazione, quello femminile.
Certo, per quanto mi riguarda, la “donna” non è tale per i suoi caratteri sessuali secondari ma per una lista infinita di caratteristiche che non dipendono in alcun modo dal fiocco presente sulla culla, ma tant’è. Potrei poi dilungarmi sulla divisione binaria e non binaria del genere, sulla teoria “gender”, sul “gender-gap” applicato alle persone transessuali, ma andrei, mio malgrado, a supportare e rinfoltire le fila di coloro che intendono incasellarci come i prodotti alimentari.
Oggi, voglio fare una cosa diversa: vorrei cercare di spiegare perché la transfobia è aberrante e perchè, queste persone, riabilitate finanche dalla scienza, siano degne della nostra ammirazione o, almeno, della vostra “indifferenza”. Una persona transgender affronta un percorso clinico molto complicato, con innumerevoli controindicazioni e complicazioni a partire dalla terapia ormonale somministrata per permettere l’involuzione di funzioni e strutture del sesso biologico di appartenenza e, al contempo, l’evoluzione di funzioni e strutture coerenti con l’identità psichica.
Questo “cocktail” prevede, nella transizione “Femmina-Maschio” (FtM) l’uso del solo ormone mascolinizzante (testosterone), mentre nell’adeguamento “Maschio-Femmina “(MtF) è quasi sempre necessario unire agli estrogeni femminilizzanti un farmaco antiandrogeno insieme ad un derivato progestinico.
L’impatto sul corpo di queste “bombe” ormonali è devastante: tra gli effetti collaterali si registrano obesità, ipertensione arteriosa e dislipidemia i quali sono, a loro volta, importanti fattori di rischio per la malattia cardiovascolare; ma ancora si può incorrere nell’insufficienza epatica e nelle uretriti emorragiche. Gli ormoni giocano, poi, un ruolo determinante sull’umore del soggetto e, proprio a causa di questi “sbalzi” ormonali, si è registrata come effetto collaterale una maggiore propensione alla sindrome depressiva.
È quindi fondamentale che la persona transgender sia supportata da un sostegno psicologico tanto dei propri affetti quanto professionalmente.
Al termine di questo percorso, estremamente arduo, se ne può cominciare un altro: con l’aiuto della chirurgia, la persona transgender può sottoporsi a diversi interventi per “adeguare” ulteriormente la propria figura alle caratteristiche del sesso di destinazione. Tra gli innumerevoli interventi, vorrei sottoporre alla vostra attenzione la “vaginoplastica” nella transizione “MtF” e la istero-annessiectomia bilaterale nell’adeguamento “FtM”: nel primo caso, si interviene con l’asportazione degli organi genitali originari (testicoli, epididimi e funicoli, corpi cavernosi, uretra peniena) per poi procedere con la fase “ricostruttiva” per creare una “neo-vagina”; nel secondo caso, si procede alla rimozione dell’utero, delle ovaie e delle tube uterine.
Quindi tutto si riduce a un mero trattato di medicina? No, assolutamente.
Questo elenco di “brutte parole scientifiche” è solo per affacciarci a quella mole di sofferenza, fisica e psicologica, che le persone transgender (anche in base alle proprie tasche, questione affatto secondaria) sono disposte ad affrontare per diventare, finalmente, se stesse. Di proposito non ho utilizzato l’espressione -prevedibile- “realizzare un sogno” perché tale non è: non è un’aspirazione, un vezzo, un capriccio come spesso sento dire. E’ un’esigenza, una necessità e come tale deve essere trattata.
Con lo stesso livello di urgenza e serietà che si utilizza il trattamento di altre condizioni. Badate bene, non malattie ma “condizioni”: L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definitivamente tolto dalla lista delle malattie mentali la transessualità, ricollocandola in un nuovo capitolo, chiamato “condizioni di salute mentale”.
Quello che ha bisogno di “cura” non è la “disforia di genere” ma la condizione di sofferenza che le persone transgender vivono finché rimangono confinate in un corpo che non gli appartiene. Come la tecnica mette a disposizione strumenti e modi per ripristinare la funzionalità di un arto e ha, per questo, il nostro plauso, nello stesso modo deve essere vista la possibilità che la scienza fornisce alle persone transessuali di adeguare il proprio corpo alla propria psiche.
Dai soggetti felici, realizzati e appagati, trae giovamento l’intera società e tali diventano le persone transgender alla fine del loro percorso. Allora in che termini meritano, almeno la vostra “indifferenza”?
Se non riuscite (e il problema, permettetemi, è tutto vostro) a provare empatia, stima e ammirazione per queste persone e per il coraggio che dimostrano, vi chiedo di rinunciare alla vostra curiosità morbosa nei loro confronti, alle occhiatacce che gli riservate per strada e alle risate di scherno che gli lanciate contro. Trattatele come “perfetti sconosciuti” quali sono. Se non riuscite a combattere le loro battaglie, non gli siate d’ostacolo.
Certo è che se non vi curate del bruco, non avrete il privilegio di conoscere la magnifica farfalla. E ribadisco: ne perdete voi, non loro.