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Suoni cosmici

Photo by Greg Rakozy on Unsplash

Un piccolo viaggio tra le canzoni che arrivano dallo spazio

Il 12 aprile è una data storica per l’umanità: nel 1961, Jurij Gagarin si concesse una gita tra le stelle che avrebbe inaugurato la stagione delle missioni spaziali.
Sette anni prima, invece, Bill Haley – spalleggiato dai suoi Comets, un assist perfetto per chi ama le coincidenze onomastiche e astrali – incise negli studi della Decca di New York un pezzo lungo poco più di 2′, Rock Around The Clock, che divise il mondo in custodi della morale, spiazzati da questo terremoto musicale che prometteva di riscrivere gli orizzonti della cultura popolare, e seguaci in blue jeans del nuovo credo, ai quali non sembrava vero di aver fatto una scoperta così sensazionale.

Le note del rock’n’roll che, tra alti e bassi, ci tengono compagnia da quasi settant’anni, hanno raccontato anche le storie di chi ha sfidato la forza di gravità e, con l’aiuto dell’immaginazione, ci ha guidato tra le stelle.
Come il più marziano di tutti, David Bowie, che non si è accontentato di prestare la voce (e il corpo) a un essere androgino, Ziggy Stardust, capace di conquistare tutti una volta sceso in Terra sulle note di Starman; anni prima, infatti, il Duca Bianco ha voluto esprimere l’angoscia e l’inquietudine del maggiore Tom, la cui tragica missione nel cosmo si traduce in un dialogo sofferto con la torre di controllo e (forse) con l’intera umanità: Space Oddity anticipa di un soffio lo sbarco dell’uomo sulla Luna, cambiando per sempre la carriera del suo interprete.

Se Bowie ha cercato nello spazio (e nell’Odissea cinematografica di Stanley Kubrick) la chiave per parlare a tutti noi, Elton John ha invece scelto per il suo Rocket Man un registro decisamente più intimista e romantico: dietro il professionista del cosmo pronto a entrare in orbita c’è un uomo che sente già la mancanza della moglie.

Da una scaletta ideale, poi, non possono mancare i Pink Floyd di The Dark Side Of The Moon e, in particolare, l’epilogo dell’album, Eclipse. Cosa dire, poi, della singolare camminata sulla Luna che i Police descrissero in Walking On The Moon, il manifesto programmatico del reggae bianco datato 1979? In realtà, nulla o quasi evoca la storica missione dell’Apollo 11 e la camminata prima incerta, poi sempre più sciolta di Neil Armstrong con la bandiera a stelle e strisce: molto più prosaicamente, qui si parla dell’amore che ti porta a staccare i piedi da terra.

Al tramonto del Novecento – era il 1994 – si fece largo un «cowboy dello spazio» di nome Jamiroquai, ma il suo era un viaggio in una galassia lisergica (come suggerisce il titolo dell’album da cui era tratta Space Cowboy, Travelling Without Moving). Sempre nello stesso anno, invece, i Soundgarden di Chris Cornell conquistavano le classifiche di vendita (e l’alta rotazione di MTV che – altra coincidenza – aveva inaugurato le sue trasmissioni nel 1981 con le immagini di uno Shuttle in fase di lancio) con la torrida Black Hole Sun, una cupa istantanea su un mondo in (auto)distruzione. Una melodia ipnotica e densa di suoni elettronici accompagna invece Kelly Watch The Stars degli Air, scandita da un solo, martellante verso.

Di nuovo le stelle, di nuovo atmosfere elettroniche, ma più sensibili agli echi del pop in We Are All Made Of Stars di Moby, che nel video indossa i panni di un astronauta perso per le strade e i locali di una Hollywood iperrealista e sottilmente volgare. 

Un paio di titoli italiani per chiudere: Extraterrestre di Eugenio Finardi, una riflessione poetica e dolente sulla solitudine dell’individuo, e Gagarin (!) di Claudio Baglioni. Un’altra coincidenza, casomai ce ne fosse stato bisogno.

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