Chi per vivere si occupa di comunicazione sa che non esiste era più affascinante di quella in cui stiamo vivendo oggi.
Sul fronte tecnico, aumentano ogni giorno le possibilità offerte agli individui per comunicare tra loro, con sempre nuovi strumenti e modi favoriti dalla tecnologia. Preparatevi quindi a vivere con un visore stampato in faccia e incontrare gli amici (o un’A.I. che vi faccia sentire prossimi all’estinzione) nel metaverso. Piaccia o non piaccia, l’innovazione non chiede permesso.
Proprio questo proliferare di interazioni, permette anche la costruzione di narrative a dir poco fantasiose. Il perché? Facile. Qualunque affermazione trova ad accoglierla una schiera più o meno folta di oppositori e una altrettanto grande di persone pronta a difenderla. Nell’impossibilità di vincere nettamente un dibattito, o esentati dalla necessità di affermare qualcosa che abbia senso, ci si sente autorizzati a “spararla grossa” senza conseguenze, o meglio, con le stesse che si avrebbero qualora si fosse invece deciso di azionare il cervello.
Ad esempio, ho trovato esilarante la narrativa di Aurelio De Laurentis in merito all’addio del proprio allenatore a fine stagione. Prigioniero di un contratto ispirato liberamente alle piantagioni di cotone dell’Alabama che fu, Spalletti ha giustamente protestato per l’esercizio unilaterale della clausola di rinnovo esercitato dal suo Presidente, ma si è ritrovato di fronte a una penale di ben 8 milioni di euro in caso di dimissioni. Il tira e molla, durato qualche settimana, ha trovato un punto d’incontro nelle dimissioni dell’allenatore, senza penale, a patto di rimanere un anno fermo. Tutto insomma molto distante dalla narrativa dello “Spalletti è stanco, e mi ha chiesto di riposarsi”. D’altronde, è anche difficile che un allenatore di alto calibro accetti clausole come quelle tipiche del vulcanico presidente del Napoli. Non ci ha infatti messo molto Luis Enrique a mandarlo a stendere dopo un solo meeting interlocutorio. La narrativa? Ah già, lì è stato affermato che il tecnico “ha voglia di allenare una (non meglio precisata, e a oggi, inesistente) squadra in Premier League”.
Se queste esternazioni le colloco di diritto nel folklore che domina a mani basse il mondo del calcio, e ne traggo un certo intrattenimento, altre le vivo in modo più viscerale. Vuoi perché le trovo particolarmente dannose, vuoi perché, non essendo scevro dal tifo da stadio, riguardano la mia squadra del cuore.
È piuttosto nota la situazione drammatica che sta vivendo la Juventus ultimamente, che è figlia di numerosi accadimenti esterni ed errori umani. I processi farsa (entrambi, sebbene in modo diverso), un quadro economico compromesso da acquisti scellerati (CR7 in primis), una società fantasma e pessimi risultati sul campo.
Già, perché la prima delle narrazioni farlocche e criminali che affossano i Bianconeri è proprio quella secondo cui questa stagione sia frutto della famosa penalizzazione yo-yo che ha destabilizzato la squadra. Per quanto sicuramente non priva di conseguenze sul piano del morale dei giocatori (che in verità avrebbe potuto anche fungere da motivazione), non ci si può scordare che essa sia arrivata quando la squadra era nella metà bassa della classifica, e fuori dal girone di Champions con solo 3 punti conquistati sui 18 disponibili.
Nel complesso, la Juventus degli ultimi 2 anni ha inanellato una lunga serie di record negativi. E a poco valgono i proclami di quarto posto conquistato sul campo. La verità è che la squadra con il più alto monte ingaggi della Serie A ha realizzato nelle ultime due stagioni meno punti rispetto alla stagione in cui sulla panchina della Juventus c’era Andrea Pirlo, miseramente cacciato nonostante il medesimo risultato in classifica e la vittoria della Coppa Italia.
Difficile non vedere nel primo colpevole l’attuale tecnico Massimiliano Allegri che, oltre a privare la squadra di qualsiasi barlume di gioco (lo ha sempre fatto, ma i campioni riuscivano a vincere nonostante lui), ha di recente perso anche ogni capacità di gestione dello spogliatoio e di stile fuori dal campo, con sparate al cui confronto Mourinho è un chierichetto.
Qui, forse, la narrativa trova il suo acme. Sostiene di rimanere per il bene della Juventus, continuando a percepire il lauto stipendio che tiene la Juventus prigioniera e impossibilitata a voltare pagina come l’intero ambiente vorrebbe. Ma ormai si sa, vale tutto.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni