Sergio Ragone “Una mancanza perfetta”

In un periodo così pieno di mancanze, perdonate l’ossimoro, in cui non possiamo andare a prendere un caffè al bar, fare una passeggiata in centro, una cena tra amici, abbracciare i nostri affetti, in cui dobbiamo fare i conti con noi stessi, con il nostro tempo, forse ci siamo resi conto che a mancarci non sono le cose, ma i luoghi, le persone, le relazioni con gli altri. Sergio Ragone, giornalista e scrittore lucano, nel suo romanzo “Una mancanza perfetta”, ritrae e analizza le relazioni dei nostri tempi, i sentimenti in bilico, non vissuti, le paure di una generazione divisa tra lavoro e affetti, in costante lotta tra partire e restare. C’è un sud, Potenza, ma anche un nord, Milano, che accolgono e respingono. Ci sono i sentimenti, veri, che i due protagonisti vivono  tra le paure di una generazione e le incertezze sul futuro. 

Lei ha scritto questo libro in un periodo particolare della nostra storia, fatto di incertezze economiche e lavorative, soprattutto per i ragazzi del sud, di precarietà, anche sentimentale. Tutto questo lo ritroviamo nel libro, nella vita dei due protagonisti, Laura e Luca, ma quanta realtà c’è nel suo romanzo?

Laura e Luca sono due ragazzi del Sud, come tanti, che vivono la complessità di questi tempi senza mai perdere di vista i propri sogni e le ambizioni. I nostri paesi e le nostre città sono pieni di storie come questa ma anche di ritorni, che danno speranza non solo ai nostri luoghi, ma soprattutto al Sud. La precarietà del lavoro incide terribilmente anche nella sfera degli affetti, spesso negando la possibilità di poter dare forza ad un progetto di vita nuova. Ma nelle pagine del libro si respirano le radici di entrambi i protagonisti e la loro voglia di non smarrire mai la propria origine.

Come affrontare la precarietà e l’attesa, la mancanza perfetta?

Senza spoilerare troppo, posso dire cosa faranno Laura e Luca. I due protagonisti affrontano inizialmente l’attesa con l’inganno, con leggerezza, con le illusioni, con la somma di tutte le piccole e grandi cose che costituiscono le fondamenta della propria esistenza. Ma ad un certo punto sono chiamati a fare i conti con la realtà e soprattutto con sé stessi, diventando improvvisamente adulti e costretti a scegliere, decidere, iniziare un nuovo cammino.

La dicotomia lavoro-sentimenti è costante presenza nel suo romanzo, quanto fa male alle giovani generazioni questa scelta, spesso obbligata?

Fa male perché sembrano essere l’una la negazione dell’altra. Ma invece non è così, solo che ce ne accorgiamo quando ormai è troppo tardi.

Qual è  la differenza maggiore tra la generazione dei ventenni/trentenni e quella dei quarantenni al giorno d’oggi? Cosa hanno gli uni in più o in meno degli altri e viceversa? 

I ventenni di oggi non devono smarrire mai la loro fame di futuro e smetterla di inseguire modelli di vita che inducono ad un consumo rapido delle esperienze e della socialità. I trentenni e i quarantenni vivono in una terra di mezzo: molti di loro sono ancora precari, single perché affogati dal desiderio di riscatto sociale tramite il lavoro (la colpa è dei genitori che li hanno educati così), non hanno relazioni sociali se non filtrate dal digitale e vivono in un auto isolamento costante. Parafrasando un famoso detto, i ventenni hanno il tempo, i quarantenni iniziano ad indossare gli orologi. E’ questa la differenza, secondo me.

L’isolamento a cui siamo stati costretti, a causa del covid-19, quanto ci ha cambiati, secondo lei?

Ha cambiato le nostre abitudini, ci ha costretti a ridimensionare i nostri spazi e le nostre libertà. In questa condizione temporanea non so quanti avranno riflettuto davvero sulla propria vita, su cosa davvero conta e su cosa eliminare come scorie. Abbiamo però capito chi siamo, ora spetta a noi decidere se migliorare o restare immobili e non cambiare nulla. Il mio ottimismo mi porta a dire che sì, abbiamo imparato una lezione che ci migliorerà, ma so bene che la prova del quotidiano potrebbe smontare ogni mio auspicio.

Cosa può insegnarci la solitudine, intesa non come lo stare soli, ma come momento di riflessione interiore?  

Come per ogni insegnamento, anche la solitudine è una lezione per chi ha la forza interiore di ascoltarla. La solitudine grida in una stanza vuota e la sua voce fa davvero rumore, risuona l’eco e scuote l’anima. Personalmente ho bisogno di solitudine e silenzio per rigenerarmi, per recuperarmi, per ritrovare il suono della mia esistenza più autentica. Ma so che la solitudine fa male, può ferire perché emargina, esclude, taglia mortalmente.

Tutta la precarietà e l’incertezza sul futuro, in ogni suo aspetto, è stata acuita dalla crisi dovuta al coronavirus, che ha coinvolto indistintamente tutte le generazioni, ma, dal suo punto di vista di scrittore, come pensa cambieranno i rapporti e le relazioni interpersonali  dopo il coronavirus? Chi ne risentirà di più?

Gli ultimi e i penultimi. La crisi economica che si sta aprendo sarà una ferita dolorosissima nel cuore dell’Italia, per questo la politica non può più permettersi di perdere altro tempo in annunci ed accuse. Bisogna agire, subito, prima che sia troppo tardi. Il mio appello? Fate Presto!


Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – l’Altravoce dell’Italia di lunedì 11/05/2020