Si dice che i pensieri creino parole e le parole creino azioni. Noi stiamo lavorando al contrario, stiamo lavorando sul linguaggio per cambiare il pensiero.
Lasciatevi trasportare dalla parole di Armanda Salvucci che con un linguaggio sincero e ironico vi porta a scoprire il tema della disabilità e della sessualità per le persone con disabilità, che non è poi così diverso da quello di tutti, perché la prima volta siamo tutti disabili.
- Come nasce l’idea del progetto Sensuability ? C’è un episodio particolare legato alla nascita del progetto ?
Era un po’ che riflettevo sul tema, che mi tocca da vicino. Non mi piace il modo in cui se ne parla, o non se ne parla, in Italia. Le persone disabili sono considerate alla stregua di bambini oppure di angeli, di essere asessuati, quando in realtà non è affatto così. Ho pensato che dovevo fare qualcosa. E il momento è arrivato, quattro anni fa, quando una regista molto nota ha indetto un casting per una fiction, in cui cercava un nano che infondesse tenerezza. È il più classico degli stereotipi sulle persone disabili: quello che debbano fare tenerezza. Mi sono arrabbiata moltissimo e ho deciso: adesso ne parlo io.
- Il progetto tratta il tema della disabilità e della sessualità intrecciando diversi linguaggi: quello artistico, cinematografico ecc… Ci spieghi meglio questo intreccio, non certo comune nel modo di raccontare la disabilità ?
I mezzi di comunicazione hanno una grande responsabilità nella diffusione degli stereotipi, a maggior ragione se parliamo di sessualità e disabilità. Modelli di fisicità lontanissimi dalla realtà dettano legge e moda e la maggior parte delle persone non ci si riconosce, disabili e non.
L’arte diventa allora il seme ideale per far germogliare una cultura nuova e senza pregiudizi, libera e inclusiva, capace di ironia e leggerezza anche su temi considerati tabù come sesso e disabilità. Quindi una lotta a suon di scherno contro tutti quei pregiudizi per i quali la disabilità è sinonimo di essere asessuato, quasi un angelo o un bambino che non può che anelare a una carezza senza poter ambire a nulla di più. Scardinare le convinzioni attraverso un nuovo linguaggio che comprenda tutte le forme artistiche ma soprattutto inventando un nuovo immaginario erotico sulla disabilità.
Ecco perchè Sensuability è anche una mostra di fumetti, sarà poi una mostra di fotografia, è già un corto e presto sarà anche un film.
- Un altro elemento particolare nel progetto Sensuability è quello dell’ironia, come mai hai scelto questa chiave per raccontare questo aspetto? Come siete riusciti a svilupparlo?
Attraverso l’ironia avvicini le persone; se usi il senso di colpa, o il classico binomio noi e voi, le persone si allontanano. Le faccio avvicinare a delle cose che ancora non sanno con leggerezza, non perché il tema non sia importante e penso che più di me non possa dirlo nessun altro. Ma proprio perché non è colpa di nessuno: c’è solo una cultura che ci condiziona. E dico “ci” condiziona perché anche noi persone disabili siamo condizionate da questo. Si pensa che una persona disabile sia solo la sua disabilità quando in realtà tante altre cose delineano una persona: il suo carattere, la sua intelligenza, la voglia di fare. A me è stato detto: “dopo due ore che parla con te uno si dimentica di quello che sei”. Non te lo devi dimenticare. Perché io sono questa. Non c’è scissione tra mente e corpo. Il corpo è questo, non è perfetto, non è bello secondo i canoni, forse non è funzionale. Ma io sono questa.
Io ho l’acondroplasia, quello che comunemente viene chiamato nanismo. Il primo stereotipo legato a questa condizione è quello di far parte di un circo, e mi è capitato di essere definita così. Quando ho cambiato casa, alcune persone quando hanno visto il mio letto matrimoniale, hanno chiesto “che ci devi fare?”. Attraverso il corto abbiamo voluto sfatare proprio questi stereotipi rappresentare cose che ho vissuto sulla mia pelle e l’unico modo per farlo è l’ironia. Perché ci sono cose talmente serie che se ne può soltanto ridere.
- Qual è stato il riscontro del progetto per un pubblico, diciamo così, di non addetti ai lavori? C’è stato un episodio in particolare che ti ha fatto capire che il progetto stava lasciando un segno e che vorresti raccontare?
Per adesso posso dirti che ho ricevuto moltissimi consensi ogni volta che abbiamo incontrato il pubblico durante i momenti di sensibilizzazione: questo tema ha molto riscontro perché la sessualità riguarda tutti e non solo i disabili. La gran parte della popolazione mondiale è esclusa da una visione del sesso come mera prestazione fisica. Di fronte a questi stereotipi, come diciamo noi,“La prima volta siamo tutti disabili”.
Uno dei momenti più belli però è stato vedere alla Mostra alcune mamme accompagnate dai loro bimbi ai quali mostravano le tavole con le illustrazioni. Per noi, che ci rivolgiamo soprattutto ai più giovani, è stata veramente una grandissima soddisfazione.
- Cosa c’è ancora da fare per rimuovere gli stereotipi che ancora ci sono riguardo a questo tema nel nostro Paese ?
Continuare a fare cultura liberando l’immaginario collettivo da tutte le gabbie costruite dalle false credenze. Fare cultura sulla disabilità e sulla diversità purtroppo è ancora necessario. Il nostro obiettivo è che questo tema rientri nel flusso delle cose, che non ci sia più bisogno di sensibilizzare, di fare film, mostre o altro. Che si passi dall’ “ancora” al “non più”.
- Il Progetto vuole indicare in qualche modo una terza via fra la rinuncia all’attività sessuale per le persone con disabilità e la figura dell’assistente sessuale, ci vuoi spiegare quale potrebbe essere questa terza via? E cosa pensi delle 2 alternative prima citate?
Sensuability non si pone come terza via anche perché la prima, la rinuncia sessuale, non la prendo neanche in considerazione. E’ assurdo, è contro natura pensare che una persona, solo perché non rientra nei canoni di bellezza e conformità, debba rinunciare ad un’esigenza vitale quale è la sessualità.
Altra cosa è l’assistenza sessuale, che ritengo fondamentale per alcune tipologie di disabilità anche cognitive.
Sensuability è semplicemente la libertà di esprimere la propria sensualità, di godere del proprio corpo, di entrare in relazione con l’altro e anche ricevere dei rifiuti perché questo capita a chiunque e non perché si è disabili.
- Nella tua esperienza riscontri delle differenze tra la percezione italiana di questo tema rispetto agli altri Paesi europei ? Se sì, quale e perchè?
Sicuramente alcuni paesi sono più avanti di noi per quanto riguarda l’assistenza sessuale e la percezione che si ha della disabilità . Quando ero più piccola sono stata a Londra per un po’ di tempo e per strada nessuno mi guardava in modo morboso o derisorio come succedeva qui e a volte succede ancora. In realtà rimorchiavo tantissimo!
- Proprio in questi giorni si potrà tornare a visitare la mostra “Sensuability: ti ha detto niente la mamma” 2° edizione, alla Casa del Cinema, a Roma, fino al 15 luglio, ce la vuoi raccontare insieme a qualche curiosità?
Il tutto parte proprio dalla seconda edizione del concorso Sensuability & Comics – quest’anno in una special edition dal titolo “Francamente me ne infischio” – culminato il 14 febbraio con la seconda edizione della Mostra e la premiazione di tavole e illustrazioni aventi come tema scene ispirate ai grandi film ma riprodotte in chiave ironica e, soprattutto, ricche di rimandi a qualsiasi forma di disabilità, visibile o meno, in modo leggero e umoristico. Anche quest’anno abbiamo avuto una giuria d’eccezione: In tutto, tra artisti emergenti e artisti famosi abbiamo in esposizione oltre 100 opere.
Le vincitrici di questa edizione sono tre donne: prima Anna Peroni con Lilli e il Vagabondo; seconda Claudia Pasquini con Titanic; terza Martina Dorescenzi con A qualcuno piace caldo.
Voglio raccontarti un momento spartiacque: avevamo appena finito di allestire la prima edizione della mostra Sensuability, ero seduta al centro della sala davanti alle opere ben sistemate e soffermandomi su ognuna scorrevano nella mia mente il primo contatto, l’attesa, l’emozione nel vedere quanto i ragazzi fossero entrati nel progetto. Beh, ad un certo punto ho sentito la stessa sensazione che si ha quando incontri per la prima volta la persona che ami o amerai, ho pensato “ è qui, è lei, ce l’ho fatta”. Una sensazione che ancora oggi, con la seconda edizione non mi abbandona.