In questa lunga quarantena siamo stati sommersi da false notizie pseudo-scientifiche, bufale e complotti su ogni social network. Ormai siamo preparati al peggio e prendiamo ogni post su Facebook o audio su WhatsApp con le pinze. Sappiamo che possiamo stare tranquilli soltanto se la notizia scientifica viene riportata da un giornale oppure da un programma televisivo. O almeno, questo è quello che speravamo.
Giornali e programmi d’inchiesta hanno invece trattato le notizie scientifiche come quelle riguardanti il gossip: hanno fatto supposizioni invece di usare i dati certi, hanno scelto le notizie per il clamore e non per la loro solidità. Il risultato è che il lettore o ascoltatore pensa che gli scienziati abbiano doppi-fini, che la scienza sia divisa, che non vi sia un’unica verità.
In questo tranello sono cascati anche prestigiosi programmi televisivi. Ad esempio, il famoso TG Leonardo del 2015, diventato virale oggi perché all’epoca criticava un laboratorio di Wuhan per avere creato un virus. In realtà, ogni laboratorio di biologia molecolare crea e modifica virus a scopi scientifici e clinici, attraverso tecniche che stanno permettendo lo sviluppo della più promettente terapia anti-cancro: l’immunoterapia. Omettere una notizia del genere crea ovviamente sfiducia verso i ricercatori.
Similmente, di recente il programma Report ha dedicato un intero episodio alla disorganizzazione dell’OMS. Un’ora di inchiesta colma di dietrologia e supposizioni riguardanti i tempi giustamente ristretti con cui l’OMS ha dovuto operare e la filantropia di Bill Gates. Una puntata ricca di supposizioni, di “se”, di condizionali. Il risultato, leggendo i commenti sui social, è un ulteriore regalo a chi vuole fare teorie della cospirazione o promuovere campagne anti-vaccinali.
Ancora più grave rispetto ai dati parziali oppure alle supposizioni inutili è l’uso di emozioni al posto dei dati.
Prendiamo ad esempio il servizio de Le Iene sul “plasma-iperimmune”. Inizia con un’intervista ad un malato, anziano, in lacrime perché guarito grazie alla trasfusione di plasma. Fa i conti di quanti malati ci siano, di quanto plasma si potrebbe produrre, e punta il dito verso il governo che ancora non lo usa.
Purtroppo, i dati ci dicono che ancora non vi è certezza che il plasma sia in effetti la miglior cura. È inutile infondere speranze, ma soprattutto è controproducente far passare il messaggio che tutto il mondo scientifico stia mettendo i bastoni fra le ruote ai possibili trattamenti. Semplicemente, non possiamo rischiare di trattare tutti i pazienti del mondo prima di avere dei dati scientifici solidi.
Intervistare un guarito non è un dato scientifico: cosa dovremmo dire, allora, dei 130mila guariti senza plasma? Potremmo intervistare anche tutti gli asintomatici, e far credere quindi che in realtà questo virus non faccia poi così male: bisogna usare le pubblicazioni scientifiche ufficiali.
Ma come fanno i giornali ed i programmi televisivi ad affermare e far credere a tali teorie?
Purtroppo, spesso si difendono intervistando anche qualche laureato, dottore, premio Nobel o medico. Poi montano le parti dei discorsi che fanno più notizia, omettendo magari i dettagli alla cautela, o semplicemente scelgono direttamente “l’esperto” che fa più comodo a sostenere la tesi che darà più ascolti.
No, non basta intervistare un esperto. La scienza si fa con dati e statistiche, non con interviste ed emozioni, o presunte tali, per giustificare la falsità di una notizia.
Ad esempio, prendiamo l’intervista al premio Nobel Montagner, che parlava di tracce di HIV nel Coronavirus e diceva che potremmo curarci con le onde-elettromagnetiche. L’intervista era colma di palesi falsità pseudo-scientifiche, ma è stata comunque riportata, commentata ed amplificata. “Stiamo solo riportando il commento di un esperto” non basta come giustificazione, perché noi che riportiamo siamo tenuti a verificare in prima persona cosa stiamo scrivendo o mandando in onda.
Facciamo un esempio. È come se vedessimo un servizio o un articolo affermare: “la Carbonara si fa con la panna ed il prosciutto”. Per giustificare queste affermazioni, viene mostrato il menù di qualche ristorante pseudo-italiano, turistico, sparso per il mondo. Inoltre, viene intervistato anche un famoso chef novantenne, premiato con una stella Michelin 40 anni fa, il quale sostiene che la vera ricetta sia questa. Le statistiche indicano che la maggior parte delle persone nel mondo non utilizza il guanciale o il pecorino. E alla fine, come ciliegina sulla torta, viene mostrato che gli esperti che sostengono la cosiddetta ricetta tradizionale vivono tutti nella regione dove guanciale e pecorino Romano producono incassi per milioni di euro.
Ecco l’errore del giornalista: a prescindere da chi stia intervistando, oppure quali dati parziali stia mostrando, ci sono modi per verificare che una notizia sia vera. Nel caso della carbonara, basterebbe andare a verificare la ricetta depositata. Nel caso di notizie scientifiche, bisogna sempre controllare gli articoli pubblicati.
Scienza e comunicazione: un cortocircuito che continua a ripetersi.
Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni – Quotidiano del Sud 25/5/2020