Ogni volta che acquisto una Graphic Novel di Michele Rech, si proprio lui, Zerocalcare “l’ultimo intellettuale” a sua insaputa, mi prometto che la sfoglierò con estrema calma e invece rieccomi qui dopo due ore hardcore di lettura, ad impacchettare una nuova recensione, in vista di questo balordo Natale.
Stavolta è un’impresa non da poco, vi parlo di un noir dalle svolte thriller, un genere inedito per il fumettista Romano, che ci consegna un Zero diciottenne e punk in una periferia Romana dalle tinte cupe, mai vista così a fondo. Ed è come se, stavolta, Zero ci facesse entrare per davvero nella sua Rebibbia.
Ma chi sono io per spoilerare il prossimo volume che correrete ad acquistare in libreria? Lasciatemi solo citare in ordine di comparsa, il mistero di un dito mozzato davanti il portone di casa, un segreto ingombrante da trascinare in un vagone della metro B, “CIAO MADRE, ADDOPO “, Arloc uno spudorato sedicenne, la sala giochi, l’età adulta e infine loro, gli scheletri.
Con uno sguardo sempre più lucido sull’età adulta che avanza ed i suoi mostri in allegato, Zero ci convince fin dalle prime pagine a seguirlo prima, e rincorrerlo poi, in un intenso viaggio su se stesso, per circa vent’anni, dai primi anni duemila al nostro 2020.
E, spiacente di deludervi, gli scheletri di Zero non provengono da nessuna pellicola alla Tim Burton: è solo un miscuglio noir di sagome sbiadite, di altri umani, gli adolescenti che eravamo, che in fondo son sempre lì, a ricordarci che dovremmo far di meglio di questa “adultità”.
Tra violenze domestiche, droghe e misteri in una Rebibbia a volte marcia, a volte bellissima, la voce di Zero si amalgama con quella dei personaggi di sempre. Re – incontriamo l’Armadillo, madre Lady Cocca, Cinghiale, ..e infine lui, il socio di una vita. Secco,”l’immutabile”, stavolta indossa i panni di una generazione senza via di fuga, che prima o poi si arrende a tutto ciò che gli adulti chiamano “normale corso degli eventi”. O almeno così la disegna Zero. Secco ha un figlio, e sarà questa notizia a sconvolgere tutte le convinzioni scolpite su roccia dell’autore, catapultandolo in un senso di solitudine assoluta.
“Hai un labrador? La domenica fai le grigliate coi colleghi? Parlate di cose da adulti?”
Zero sembra non darsi tregua all’evoluzione degli eventi “Così in dieci anni ho fatto più di 3000 tavole,mentre io stavo tombato a disegnare, il mondo correva avanti”. Ma sarà lo stesso Secco a sciogliere, in parte, il suo cumulo di scheletri “nell’armadio” …
“Io potrò fà un fijo? Tra l’altro, ‘sti cosi mica te risolvono la vita. O te fanno diventà un’altra persona. Sò tutte cazzate da film. Al massimo ti ricordano che pure se tutte le cose tue vanno una merda e non controlli nulla della vita tua esiste qualcuno per cui puoi fare la differenza.”
A dichiararlo era stato anche l’artista, la nuova graphic novel sarà “più efferata del solito” e, signore e signori non ho alcuna obiezione in merito.
Che dire: ero pronta ad ingurgitare una serie di citazioni pop in Romano, condite da una manciata di sano sarcasmo stile “Rebibbia Quarantine”, e invece mi ritrovo tra le mani un cartonato di storie noir incasellate alla perfezione. Sono storie di umani che crescono e che credono basti una vecchia sacca da palestra nascosta in un armadio a nascondere gli scheletri di una vita.
“QUA NESSUNO CAMBIA, TUTTALPIU’ MARCISCE“, lo proferirà Zero nelle ultime pagine, al suo vecchio amico Arloc, ormai adulto.
“Forse è questo il nostro minimo comune denominatore. La versione più sbiadita di quello che era prima”.
E poi ci sono quelle tavole che ti si inchiodano in testa, come se la matita dell’autore stesse puntando te, e beh, lei è una di queste.
Capisco solo ora quanto sia costato all’autore svuotarsi così, impastando pezzi della sua vita e fiction in un romanzo grafico dal ritmo incalzante, che si rivela pagina dopo pagina il manifesto di una generazione inadeguata.
Insomma, avrete ormai capito, non ne sbaglia una.
Consigliato a chi, vuole regalarsi uno Zerocalcare, diverso dal solito, per un ritorno alle origini di “Un polpo alla gola” ma in chiave “adulta” e come sempre autoironica. Per gli adolescenti di ieri e non solo, per affrontare quegli scheletri che in fondo, sono solo versioni migliori di noi stessi.