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Rom, Sinti e Camminanti: occorre combattere stereotipi e povertà

Mihai_Surdu_Unsplash

Emarginati, respinti, etichettati con disprezzo, guardati con sospetto. Se ne parla poco, di recente quasi mai, ma Rom e Sinti rappresentano forse il popolo più odiato e martoriato degli ultimi decenni. Odio figlio di leggende e luoghi comuni tramandati di generazione in generazione. La Giornata internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti, in programma oggi, dal 1990 ha proprio lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui loro problemi e le loro origini, oltre che celebrare la loro cultura, a molti sconosciuta.

Ad oggi, secondo il Consiglio d’Europa, la loro presenza in Italia varia dalle 110.000 alle 170.000 unità, di cui circa 70.000 con cittadinanza italiana, quindi circa lo 0,25% della popolazione, una tra le percentuali più basse registrate in Europa. Tra i Rom stranieri, almeno il 50% è presente in Italia da oltre vent’anni: di questa percentuale, la stramaggioranza proviene dall’ex Jugoslavia, mentre il restante dalla Romania, con presenze minori da Bulgaria, Albania e Polonia. Circa il 55% dei Rom che vivono nel nostro paese ha meno di 18 anni e le regioni d’Italia dov’è stata registrata più affluenza sono il Lazio (dove un quarto dei Rom abita in campi ufficiali), la Campania, la Lombardia e la Calabria.

La storia dei Rom e Sinti in Italia inizia, come in altri Paesi nell’Europa Occidentale, verso l’inizio del 1400. Si pensa che queste popolazioni abbiano lasciato l’India settentrionale nell’undicesimo secolo in seguito alle invasioni musulmane, propagandosi in tutta l’Europa a partire dal 1300. Sempre in movimento a causa della xenofobia e della loro tendenza a voler mantenere una propria specificità culturale, il nomadismo diventò progressivamente una loro caratteristica. 

Ed è proprio il loro modo di vivere, di integrarsi – spesso in conflitto con lo stile di vita delle popolazioni stanziali – che ha portato le comunità romaní ad essere tra quelle maggiormente marginalizzate e discriminate in Italia. L’85% della popolazione italiana, infatti, avrebbe una visione negativa di Rom e Sinti, e questo supererebbe anche il livello di discriminazione ai danni delle persone musulmane, viste in maniera negativa “solo” dal 63%. Una rilevazione di Amnesty International sulla presenza di odio online durante la campagna elettorale delle elezioni europee del 2019, ha anche riportato quella dei Rom come una delle categorie maggiormente colpite da attacchi politici, vittime in vari casi di hate speech.

Ma perché sussiste tutto questo odio, spesso immotivato e dettato da chiacchiere e dicerie? La risposta, forse, risiede nella poca conoscenza sull’argomento. Molti non sanno che le comunità Rom in Europa sono state decimate dal nazi-fascismo. Avrebbero dovuto essere risarcite, ma non lo sono state nemmeno moralmente, al contrario – ad esempio – del riconoscimento che è stato dato al popolo ebraico per le ingiustizie subite, per l’etnocidio e le immani sofferenze a loro arrecate. Quando si parla di Olocausto si omette ancora il Porrajmos che ha riguardato le comunità zingare, portate nei campi di concentramento e mandate alle camere a gas. Non a caso, i libri di scuola iniziarono a parlarne solo dal 1994. La persecuzione non è terminata dopo la guerra, e l’antiziganismo è ancora oggi l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa.

E per quanto i Rom e Sinti possano non stare simpatici e a volte risultare invadenti, è un popolo che vive da sempre con un’etichetta terrificante addosso. I bambini, ancora oggi, crescono con la paura di relazionarsi con un coetaneo Rom, ed è inaccettabile. Il terrore di entrare in contatto con individui considerati – con disprezzo e superficialità – portatori di sporcizia e autori di furti, genera odio e indifferenza, specie nelle generazioni più giovani, cresciuti con falsi stereotipi.

E il paradosso è che quando è convenuto, questi popoli hanno avuto la loro utilità politica. Negli anni, chi ha avuto potere politico ed economico, ha trovato comodo avere un capro espiatorio a portata di mano, un gruppo sociale che non ha voce politica su cui veicolare la rabbia della gente, sempre utile in tempi di crisi. Non a caso, per l’uso dell’espressione “zingaropoli” durante una campagna elettorale a Milano, nel 2012 il tribunale ha condannato per discriminazione – per la prima volta in Italia – due partiti politici.

Finché lo Stato non comprenderà di dover rimuovere, e non aumentare, gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono l’uguaglianza, Rom e Sinti, purtroppo, saranno sempre soggetti a pregiudizi.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

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