Venti Blog

Rilanciare la cultura come “economia aggiuntiva” per l’Italia

Serve un approccio sartoriale, non industriale e la questione non è il prezzo dei biglietti

Un vivace dibattito che sta recentemente godendo di eco mediatica, in particolare dopo il giuramento del nuovo governo, riguarda i biglietti di accesso ai musei e, più in generale, ai luoghi della cultura.

Attualmente, l’ingresso è gratuito nei musei statali la prima domenica del mese (la “domenica al museo”), mentre sono di norma previste agevolazioni per categorie specifiche di visitatori, ad esempio i giovanissimi, in tutti i luoghi culturali. A queste previsioni generali, si aggiungono specifiche convenzioni riguardanti le singole strutture, con cui possono essere istituire ulteriori ipotesi di accesso economicamente facilitato (ad esempio per ragioni di promozione turistica).

L’amletico dubbio (ri-)affacciatosi nel recente dibattito pubblico è se le ipotesi di accesso economicamente agevolato vadano ulteriormente estese, ad esempio moltiplicando i giorni di libera entrata o individuando ulteriori categorie di utenti da beneficiare. Tali valutazioni hanno implicazioni sulla “strategia” generale per la promozione del patrimonio culturale del paese: ci si deve quindi anzitutto domandare se, come e quanto l’accessibilità libera o agevolata ai luoghi della cultura sia effettivamente uno strumento efficace per valorizzarli.

A tal proposito, si impone una premessa. Nel dibattito politico, si parla sempre più della cultura come di una possibile “economia aggiuntiva” per il paese, che debba essere organizzata come un’“impresa” se non redditizia quanto meno auto-sostenibile. Tuttavia, il tema dei biglietti in sé e per sé non è nevralgico. Decisiva è, invece, la qualità dell’offerta culturale. Per fare della cultura un’economia vera, non basta far pagare (di più) quel che si ha, ma bisogna ridisegnare la strategia culturale, immaginare nuove sperimentazioni, fornire un prodotto appetibile e completo capace di esercitare autonoma forza attrattiva sul mercato. Il miglior prodotto è infatti quello che massimizza non soltanto i ricavi dell’offerente, ma anche la soddisfazione dell’acquirente. Dunque, occorrerebbe piuttosto lavorare sul “cosa offrire” e soltanto dopo sul “quanto chiedere”. È lo “smart management” quello che serve, oggi, alla cultura, non certo una diversa disciplina dei biglietti a offerta invariata.

Ciò detto, nelle riflessioni sull’accesso ai musei è certamente fuorviante pretendere una regola uniforme efficace per l’intero comparto. Nel prisma di un universo museale eterogeneo e complesso, esistono infatti realtà con caratteristiche profondamente diverse e non è possibile ingegnerizzare modelli di gestione universalmente validi. Ciò anche perché la forza attrattiva per i visitatori varia da caso a caso in base a un vasto spettro di fattori: la collocazione geografica, le caratteristiche delle collezioni e delle mostre, la notorietà al grande pubblico. Alcuni musei godono già di un consolidato e costante interesse, a prescindere dalla gratuità o meno dell’accesso. Altre realtà trovano invece nel libero ingresso una fondamentale occasione di pubblicizzazione e di apertura, per rivitalizzare il circuito culturale locale ed evitare pericolose necrosi.

Per una gestione effettivamente “smart” dell’offerta culturale occorrerebbe, quindi, anzitutto differenziare regole e strumenti calzandoli sulle peculiarità delle singole realtà e immaginando più modelli specifici di gestione. Una tale iniziativa richiederebbe ovviamente la compartecipazione delle strutture interessate nel definire obiettivi di crescita e relative strategie. Eppure, se di cultura come “economia” aggiuntiva vuol parlarsi, un primo passo importante sarebbe proprio definire (e valorizzare) nel migliore dei modi l’autonomia delle singole realtà. Per creare e far crescere un’impresa, anche culturale, infatti, è necessario studiare e valorizzare il mercato di riferimento. In conclusione, l’approccio deve essere sartoriale, non industriale.

Una ulteriore interessante possibilità operativa è poi la gratuità “selettiva”, esperienza collaudata in importanti realtà museali estere. L’accesso è consentito liberamente, ma alcune mostre o sezioni sono a pagamento. Lo scopo è attrarre il visitatore, riservando però esperienze privilegiate al pagante (con una logica simile a quella degli acquisti in-app). In tal modo si supera anche l’immagine austera di una cultura, tutta “blindata” oltre le biglietterie.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Exit mobile version