Alea iacta est! Il dado è tratto, l’Italia ha deciso. Il quarto referendum popolare della storia repubblicana, avente ad oggetto la proposta di riduzione dei Parlamentari e tenutosi il 20 e 21 settembre, si è concluso in modo netto: ha vinto, anzi stravinto il “sì”. Tra i votanti, 7 italiani su 10 hanno deciso di falciare la bellezza di 345 poltrone – di cui 230 deputati e 115 senatori.
L’occasione, servita su un piatto d’argento dal partito pentastellato mediante l’approvazione della Legge n. 240 del 12 ottobre 2019, era ghiotta. È stata una decisione, quella degli Italiani, presa di pancia, desiderosi quali erano di ridurre di un terzo la capienza del Parlamento, da molto tempo ritenuta eccessivamente affollata soprattutto se messa a confronto con gli altri Paesi Europei.
Quali sono state le ragioni addotte per l’approvazione della Riforma Costituzionale?
Quella più immediata, che ha convinto oltre il 70% della popolazione italiana, è la riduzione dei costi parlamentari e il conseguente risparmio di denaro pubblico: si tratterebbe, per la precisione, di più di 80 milioni di euro che, da adesso, potranno essere risparmiati o utilizzati in altro settore.
La seconda ragione a sostegno del “SI” risulta chiara nelle parole di Raffaello Morelli, membro della Presidenza del Comitato per il Sì delle Libertà, rilasciate in un’intervista tenuta poco prima del voto:
“L’attuale referendum è la volta buona per prendere atto che nessun’altro parlamento è pletorico come quello italiano. Ridurre il numero degli eletti migliora la funzionalità dei lavori e delle decisioni in Aula, li rende più comprensibili ai cittadini e infine spinge ad un dibattito elettorale molto più attento alle idee e ai conseguenti progetti rispetto alle usuali diatribe di potere. Insomma, ridurre il numero degli eletti rafforza la qualità della rappresentanza”
Abbagliati dal fascino di tale progetto che pone sotto una diversa luce il complesso apparato legislativo, ora semplificato ora più efficiente, gli Italiani non si sono resi conto delle imponenti ombre che l’impalcatura di tale riforma gettava dietro di sé.
Primo tra tutti: gli effetti del taglio saranno tutt’altro che immediati in quanto occorrerà attendere non soltanto il termine della presente Legislatura, prevista nel marzo 2023, ma anche la successiva approvazione di una nuova legge elettorale – da sempre oggetto di infiniti contrasti tra le principali forze politiche le quali non offrono spunti su cui basare una tregua. A ciò andranno ad aggiungersi i lavori previsti per la definizione di regolamenti parlamentari che siano funzionali al dimagrito assetto Parlamentare.
Non è ben chiaro, poi, in che modo la sforbiciata possa rendere più snella la macchina decisionale; quanto prospettato, infatti, non offre nulla che possa offrire una concreta risposta al quesito. Un elemento certo, invece, è dato dall’aumento del rapporto fra elettori ed eletti che, se da un lato, porrà in posizione di vantaggio le candidature facoltose, dall’altro metterà in seria crisi la nascita di formazioni locali andando a mortificare, specialmente al Senato, la rappresentanza elettorale.
Che si sia trattata di una mossa populista, quella condotta da Luigi Di Maio – giustificata dalla necessità di portare dalla propria parte il consenso degli Italiani – è certo. Tra l’altro, la recente sconfitta alle elezioni Regionali, riportata dal Movimento 5 stelle, pone in luce una realtà sconfortante che rende meno convincenti le strategie grilline ed instabile la maggioranza di Governo.
Facendo quindi un conclusivo ragionamento a posteriori, quali saranno gli effettivi vantaggi? Essenzialmente nessuno. A parare il colpo non basteranno nemmeno gli 80 milioni di euro risparmiati (di cui solo 57 sono netti): una goccia nell’oceano, incidenti sul bilancio dello stato per lo 0,007%.
Cosa sarebbe servito? Una riforma completa in ogni dettaglio, che prevedesse la preventiva definizione e costruzione di tutta la normativa di contorno. Ancora meglio, sarebbe stato sufficiente mantenere le 945 poltrone, dando (ora sì) una netta sforbiciata ai lauti stipendi nonché eliminando i pressoché infiniti privilegi di casta.