Alcune vicende recenti hanno intensamente alimentato il dibattito sul rapporto tra social media e pubblicità commerciale. I social network, infatti, sono oggi un importante mezzo per la diffusione dei messaggi pubblicitari, con risvolti che meritano però approfondimento e riflessione. Occorre premettere in termini generali che la pubblicità è strumento importante per il virtuoso funzionamento del mercato, dunque non deve essere demonizzata, purché sia attuata lealmente e nel rispetto di essenziali limiti. Nei social network, la pubblicità assume inedite forme che travalicano i paradigmi tradizionali e richiedono moderni strumenti di decodifica ed elaborazione. Superati i manifesti cartacei e gli spot televisivi, oggi la promozione viaggia attraverso le piattaforme social, tramite post, reel e storie. Si tratta di pubblicità rapida, impetuosa, affastellata e affastellante, in cui parole, colori, immagini, suoni turbinano vorticosamente. La pubblicità nei social può avvenire non soltanto secondo formule tradizionali (ad esempio con spot e manifesti), ma anche attraverso gli influencer, persone che “hanno influenza” su utenti e follower e che si servono di tale posizione sociale per veicolare messaggi e informazioni di qualsiasi natura. Possono esservi influencer che semplicemente diffondono le proprie idee su temi sociali o di attualità. Quando, tuttavia, l’influencer veicola anche messaggi commerciali, promuovendo prodotti, si configura una forma di pubblicità particolarmente complessa da analizzare ed esposta a un rischio intrinseco di disfunzionalità, perché l’oggetto centrale del messaggio non è il prodotto in sé ma la personalità di chi lo promuove. Si tratta di una versione molto più evoluta del classico “testimonial”, ossia un personaggio famoso che reclamizza un prodotto accostandolo a sé. Per convincere il consumatore si fa leva non tanto sulle qualità del prodotto, ma sulla “fiducia” che l’influencer ha generato nella propria community. Il prodotto viene acquistato anche perché “in linea” con gli interessi e le scelte del proprio modello di riferimento. Si tratta di una scelta commerciale comprensibile: nelle dinamiche di mercato, infatti, il consumatore acquista non soltanto per le caratteristiche del prodotto, ma anche per elementi correlati all’identità del brand (si pensi agli acquisti “etici”, ovvero da società che assicurano determinati standard). In questa complessa cornice, devono comunque ribadirsi i requisiti indefettibili per la “correttezza” del messaggio pubblicitario, che sono essenzialmente la verità e la riconoscibilità. La pubblicità deve trasmettere messaggi obiettivi e veritieri, non ingannando il consumatore e non generando confusione. In secondo luogo, il messaggio pubblicitario deve essere “riconoscibile” come tale, cioè deve essere immediatamente percettibile la sua natura promozionale. Su questo secondo fronte, con riguardo al settore del food, si è discusso sull’importanza di dichiarare la natura pubblicitaria di video, reel, storie e messaggi così da evitare una impropria confusione con le recensioni non aventi carattere promozionale. Si tratta di una condivisibile pretesa di lealtà commerciale, nel senso che se un influencer o foodblogger viene ingaggiato da un’attività, l’utente consumatore deve poter evincere con immediatezza, chiarezza e certezza la natura promozionale del messaggio, così da poter maturare con consapevolezza il proprio convincimento di mercato. Il tema della “verità” del messaggio pubblicitario si lega poi anche al dibattito sull’importanza di informare pienamente e analiticamente il consumatore su caratteristiche e peculiarità del prodotto, cui concorre anche l’etichettatura. La progressiva evoluzione della normativa in materia di etichetta ha innalzato gli standard di informazione del consumatore che, oggi, al momento dell’acquisto è messo al corrente di una molteplicità di informazioni utili sul prodotto, necessarie non solo e non tanto a dimostrare il diligente rispetto delle normative in materia di produzione ma anche a garantire una scelta consapevole rispetto ai concorrenti. Inoltre, l’etichettatura consente di ricostruire l’intero percorso evolutivo del prodotto e di rintracciare così ogni problematica produttiva. È indubbio che si tratti di un onere importante per il produttore, che ha fondamentali funzioni di tutela del mercato, della concorrenza e dello stesso consumatore. Per comprendere la portata di tale funzione, basta ricordare la scena del film “Sole a catinelle” (2013) in cui Checco Zalone ironizza sull’etichettatura della mozzarella.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni