Non si sente parlare spesso di una pop star che incide il tormentone dell’anno e contemporaneamente segue un master in filosofia alla Sorbonne. Bene, Petite Meller è entrambe le cose. E, se da quest’estate, il ritornello del singolo Baby Love e le immagini colorate e surreali del suo video si sono ostinatamente insediati nella vostra testa e non vogliono più saperne di uscire, è tutta colpa sua.
Modella e cantante nata in Francia da genitori di origine polacca, ma cresciuta in Israele, a Tel Aviv. Stando alle apparenze Miss Meller, che nel video della sua hit girato a Nairobi, in Kenya, danza leggiadra come una novella Brigitte Bardot tra giraffe e fenicotteri rosa, potrebbe dare l’impressione di essere l’ultima lolita chic creata a tavolino negli uffici di una major discografica. Ma non è così. Lo si intuisce dal suo percorso di vita poco convenzionale, da giramondo.
A Tel Aviv esordisce con il trio israeliano Terry Poison, con cui ha aperto alcuni concerti dei Depeche Mode; a Parigi ha studiato fotografia e ha lavorato nella moda; ma è solo a New York che Petite ha trovato la sua vera vocazione: “Quando sono andata a New York ho iniziato a frequentare i jazz club di Brooklyn che mi ricordavano la musica con cui sono cresciuta e lì ho capito che avrei dovuto lasciare quel progetto e fare le mie cose. Credo sia questa la magia di New York: ti dà il coraggio di fare quello che senti, così ho iniziato a dedicarmi alla mia musica e al mio genere.”
Qual è il suo genere? Lei lo definisce nouveau jazzy pop, un mix di sassofoni e jazz, musica africana, chanson française, il pop melodico europeo e un pizzico di gospel. Il singolo, Baby Love, è stato scritto per esorcizzare le pene d’amore, ‘dancing the pain away’ come ama dire lei: è una canzone malinconica, nonostante i toni allegri, ma speranzosa, vitale.
Sulla filosofia dice: “Adoro la filosofia perché mi mette a disposizione gli strumenti per comprendere la vita a un altro livello, attiva nuove energie mentali e mi tiene lontano dai pensieri deboli, banali”. Non esattamente gli stessi interessi di Paris Hilton insomma.
Non disdegna nemmeno il cinema italiano d’autore: “Visconti, Fellini, Antonioni il cinema italiano per me è il massimo, così poetico, intelligente, affascinante. Monica Vitti poi è la più grande, come Anita Ekberg, facevano ciò che volevano, non avevano paura di essere grandi donne”.
Infine, una piccola curiosità sul suo trucco singolare: da bambina si scottò sulla neve e per lei fu un trauma. Da allora esorcizza così quell’episodio: “sono convinta che l’unico modo per superare i momenti difficili non sia rimuoverli, bensì affrontarli di petto. Nel mio caso il phard sulle guance mi serve a trasformare quel vecchio trauma in un motivo d’orgoglio, nel mio tratto distintivo”.