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Perché Sanremo è Sanremo: le pagelle di Venti sulla 68° edizione

Cosa c’è di più bello del festivàl (non festival) della musica italiana di Sanremo? È come una settimana santa di stampo nazional-popolare, cui tutti prestiamo orecchio e attenzione. C’è chi ne chiacchiera al bar con fare svogliato, chi vota con veemenza per l’artista preferito e costringe l’intera famiglia a consumare i 5 voti a testa consentiti, chi – come  me – aspetta Sanremo con la stessa gioia con cui i bambini aspettano Babbo Natale.

Il sessantottesimo Festival di Sanremo

L’edizione appena conclusa, la sessantottesima, è stata guidata dal dittatore artistico – così definiva se stesso – Claudio Baglioni, affiancato da Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino. Qui sono doverose alcune premesse:

(Fonte: Lapresse)

Le aspettative erano altissime, complice anche la volontà del dittatore artistico di riportare al centro del festivàl la musica italiana. Così è stato: venti i cantanti in gara, che grazie al nuovo regolamento hanno avuto accesso diretto alla finale; otto le proposte dei giovani (dove a trionfare è stato Ultimo, con “Il ballo delle incertezze”). Grandi i nomi degli artisti in gara, grandissimi gli ospiti che si sono avvicendati sul palco: da Fiorello al menestrello d’America James Taylor, da Fiorella Mannoia a Gianna Nannini, passando per Franca Leosini, Federica Sciarelli e Virginia Raffaele.
Gli ascolti sono stati record, con picchi del 58% per la serata finale. Quali i segreti di questa edizione del festivàl di Sanremo? Le canzoni, innanzitutto. Le scelte di Baglioni sono cadute su brani talvolta raffinati, in pieno stile sanremese, talaltra sorprendenti, come lo è stato per l’affacciarsi dell’indie sul palco più tradizionale della penisola. La conduzione, affidata quasi interamente alla Hunziker, è stata precisa e impeccabile. Pierfrancesco Favino, che in molti hanno definito rivelazione, è stato in realtà consacrato sull’altare degli immortali da una comicità travolgente e dalla sua recitazione che tocca corde nascoste. E il capitano coraggioso Baglioni ha trovato lo spazio per ricordare al mondo chi era e che potrebbe ritornare (semicit.) con una carrellata dei più grandi successi (corrispondenti in effetti a quasi tutte le sue canzoni).
I tre presentatori si sono mossi con sapienza su un palco spoglio della consueta opulenza floreale, la cui scenografia ha stupito per la scala a scomparsa simile ad una navicella spaziale degna dei migliori film di fantascienza. L’orchestra, di bianco vestita, ha garantito esecuzioni puntuali ed emozionanti.

Quali allora le pagelle della kermesse?

ERMAL META e FABRIZIO MORO: 7,5
Una vittoria annunciata, poi smentita dalle accuse di plagio, poi nuovamente annunciata. Un brano che ricorda “Il mio nome è mai più”, ma incorona due cantautori troppo spesso bistrattati.

ORNELLA VANONI, BUNGARO e PACIFICO: 8,5
“Imparare ad amarsi” ha un bellissimo testo e un arrangiamento raffinatissimo. Premiata come Migliore interpretazione. La signora Vanoni ha ancora molto da donare al pubblico, mentre Bungaro e Pacifico confermano il loro talento.

NOEMI: 7
Mi aspettavo di più da “Non smettere mai di cercarmi” e da questa donna dalla voce potente e graffiante. La canzone arriva, ma al secondo o terzo ascolto. Dal vivo le conferisce un tocco blues che non dispiace, anzi la esalta.

LE VIBRAZIONI: 7,5
Sarà che in fondo ho sempre avuto un debole per Sarcina, sarà quella batteria trascinante… “Così sbagliato” fa venire voglia di ballare e cantare in spiaggia.

LO STATO SOCIALE: 7
La leggerezza arriva sul palco, con le giacche colorate e la vitalità di Paddy Jones, che detiene il guinness world record come ballerina di salsa più anziana del mondo. Ci si aspettava di più, ma “Una vita in vacanza” non dispiace. Premio della sala stampa “Lucio Dalla”.

ANNALISA: 8
“Il mondo prima di te” è un brano dall’appeal radiofonico, con una melodia contemporanea che fa leva sulla sua voce – una delle più interessanti dell’intero festival. Il suo terzo posto è ampiamente meritato. Il 16 febbraio uscirà il suo nuovo album, Bye Bye, che potrebbe essere la sua consacrazione.

THE KOLORS: 6
Frida mi ha lasciata perplessa e non mi ha convinta del tutto. Le premesse ci sono, le aspirazioni internazionali pure. Manca probabilmente un testo più potente.

RON: 9,5
Considero “Almeno pensami” un regalo che Lucio Dalla ha voluto fare a tempo debito. La sua presenza si avverte in ogni nota, in ogni sillaba, ma Ron riesce a fare sua questa poesia che avrebbe meritato certamente il podio. Vincitore del premio della critica Mia Martini.

DECIBEL: 8
La quota rock viene coperta in parte dal loro grande ritorno. “Lettera dal Duca” è una canzone ambiziosa, che scomoda David Bowie e ricorda anche i Pink Floyd. Serve aggiungere altro?

RED CANZIAN: 7,5
Chi se l’aspettava che un sessantenne iniziasse la sua carriera da solista con “Ognuno ha il suo racconto”, una canzone che ha portato tutti a canticchiare? Sono diventata una sua fan. Chapeau.

MARIO BIONDI: 6
La sua voce non ha eguali, ma “Rivederti” non la esalta. Peccato.

GIOVANNI CACCAMO: 6
È un cantautore che cresce, ma continuo a preferire i tempi del suo esordio.

NINA ZILLI: 6
Un ritratto della donna, con un veloce accenno alla lotta contro la violenza. È una ballata che non convince, soprattutto la sottoscritta.

MAX GAZZÈ: 9,5
L’amore incrocia sul suo cammino delle sirene vendicative: da una storia di folklore di Vieste nasce una canzone bellissima, “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno”, che scalda il cuore e conferma l’assoluta bravura di uno dei cantautori più talentuosi di questa generazione. Premio Giancarlo Bigazzi al migliore arrangiamento.

ROBY FACCHINETTI E RICCARDO FOGLI: 5
“Il segreto del tempo” è una canzone non bella, cantata non benissimo da due leggende del panorama italiano cui si può perdonare tutto, ma non l’aver scelto tonalità così alte.

DIODATO E ROY PACI: 8,5
“Adesso” è una canzone che arriva in crescendo, tra l’empatica esecuzione di Diodato e la tromba di Roy Paci. La canteremo a lungo, la canteremo con amore.

ENZO AVITABILE E PEPPE SERVILLO: 6
Tradizione napoletana e musica leggera si incontrano ne “Il coraggio di ogni giorno”. Una buona canzone.

LUCA BARBAROSSA: 7
“Passame er sale” affronta le sfaccettature dell’amore che un marito e un padre può provare. Mi aspettavo qual cosina in più dall’autore di “Via delle storie infinite”.

RENZO RUBINO: 6,5
La formula vincente di questo cantautore e della sua “Costruire” sta nel pianoforte e negli arrangiamenti maestosi, che ben si sposano con interpretazioni che sfiorano la tragicità. Gli arrangiamenti moderni sembrano svilire il suo talento.

ELIO E LE STORIE TESE: 10
Un “Arrivedorci” così è ineguagliabile. Danno spettacolo senza scivolare nel ridicolo, regalando al loro pubblico una canzone di addio malinconica, eppure geniale, come solo gli Elii sanno essere. L’ultimo posto, seppur evocato dalla band stessa, è uno schiaffo.

Menzione speciale per Peppe Vessicchio, che raccoglie consensi e diffonde sorrisi timidi che infiammano il pubblico  in sala e quello dei social network, che ne idolatra anche la sola presenza.

Calato il sipario su un festival di Sanremo coinvolgente, che continuerà a far parlare dei suoi protagonisti, al pubblico rimangono canzoni di qualità da cantare nei mesi a venire. A mancare è stata la satira politica, viste le imminenti elezioni. L’impegno sociale si è manifestato con le spoglie di Pierfrancesco Favino e del monologo tratto da “La notte poco prima della foresta” di Bernard-Maria Kortès, che ha commosso gli spettatori e lo stesso attore (per chi lo avesse perso, basta cliccare qui).
Meno enfatica e meno azzeccata è stata la parentesi dedicata alle donne e alla lotta contro la violenza: il siparietto guidato da Michelle Hunziker non ha convinto, anzi ha scatenato una comprensibile quanto importante riflessione. Un argomento così spinoso necessita di una struttura evocativa diversa, per cui leggerezza non deve mai divenire sconsideratezza.

Tra polemiche e apprezzamenti, quel che è certo è che tra un anno saremo ancora qui, sintonizzati sui nostri schermi, a domandarci cos’altro potrebbe riservarci la musica leggera italiana. Perché è una tradizione che fa parte di ogni italiano, perché Sanremo è Sanremo.

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