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Pècmén, essere giovani negli anni Ottanta

“Lectio difficilis”, così viene descritta Pècmén dallo stesso autore Fabrizio Venerandi nell’introduzione. Perchè raccontare il proprio passato non è mai una cosa semplice e che si fa a cuor leggero, soprattutto quando si decide di parlare della propria infanzia e della propria adolescenza. Per questo, per comprendere meglio questo libro così complesso, intricato, ma allo stesso tempo emozionante e coinvolgente, abbiamo deciso di farcelo raccontare dallo stesso autore, il quale rispondendoci ad alcune domande, ha svelato anche alcuni retroscena riguardanti la propria opera.

Ecco come Fabrizio Venerandi descrive Pècmén: “È un romanzo che racconta l’impatto che ha su un adolescente che vive in un paese di periferia, tutto un nuovo vocabolario di estetiche, linguaggi, modi di pensare. Videogiochi, cartoni animati giapponesi, musica, computer, codici di programmazione, tv commerciale si incontrano con il mondo della scoperta sessuale, delle tradizioni locali, i fascismi, l’immaginazione infantile. È un romanzo sugli anni Ottanta, sui cambiamenti che hanno iniziato a germinare allora e che oggi sono diventati il mondo reale”.

L’intuizione per la stesura di questo romanzo avvenne oltre un decennio fa, quando l’autore ebbe un’originale ispirazione: “L’idea iniziale, quella di partire dai videogiochi, mi è venuta nel 2007, sfogliando in libreria il testo di un autore straniero che – mi pare – avesse strutturato un suo libro basandosi su diversi videogiochi a cui aveva giocato nella sua vita”. Una delle particolarità del libro infatti è che Fabrizio Venerandi, nel narrare le vicende più importanti della propria giovinezza, utilizza come filo conduttore i videogiochi che nel corso degli anni Ottanta sono comparsi uno dopo l’altro nel nostro paese e che ebbero subito un impatto straordinario sulla propria vita e la propria generazione.

Come però accade spesso durante la realizzazione di progetti così importanti, nel corso degli anni i propositi iniziali hanno subito una graduale evoluzione, una vera e propria trasformazione: “Inizialmente volevo raccontare come la mia vita fosse cambiata grazie ai videogiochi, alla loro estetica, ma il discorso, man mano che lavoravo al testo, si è fatto più complesso e anche più maturo. Ricordare è stato un modo per rielaborare anche il mio passato, per vedere certe traiettorie invisibili che mi hanno portato ad essere quello che sono oggi. Si sono sovrapposti anche altri immaginari e alla fine mi sono reso conto che non stavo più parlando di me, di un particolare ragazzino nerd, ma di tante persone che si sono trovate negli stessi posti a fare le stesse cose”.

Leggendo Pècmén vi capiterà senza dubbio di far riaffiorare ricordi lontani e di perdervi in essi, proprio come accaduto all’autore durante la scrittura del libro, il quale della propria gioventù ricorda “tra gli aspetti positivi la creatività, il tempo vuoto, la noia, gli stimoli che arrivavano dai mondi fantastici della fantascienza e dall’informatica, la fame di videogiochi, di novità. Il sesso. Non credo che ci sia invece qualcosa che mi faccia soffrire. Sono figlio di quegli anni e mi ci è voluto tempo per prendere le distanze da quel me stesso e ricollocarmi nel mondo. In fondo una parte di Pècmén parla anche di questo. Quali sono le nostre radici? Actarus ci voleva davvero salvare la vita?”.

Insomma, Pècmén è molto più che un semplice romanzo adolescenziale o un romanzo di formazione e non può nemmeno essere ridotto all’idea (comunque originalissima) di narrare le vicende attraverso l’irruzione di nuovi videogiochi e computer nella vita di un paesino di provincia. Pècmén è un romanzo del ricordo, non di un ricordo nostalgico, bensì obiettivo e talvolta cinico, capace di analizzare lucidamente le cose positive, ma anche il lato oscuro degli anni Ottanta. Quest’opera può essere considerata come una sorta di riflessione che una generazione oramai cresciuta fa a proposito dei propri anni giovanili, i quali hanno lasciato un segno indelebile, un marchio a fuoco che tuttora portano in molti, tra cui Fabrizio Venerandi e che lo spinge a darci quest’ultimo “suggerimento”: “Ho tre figli, dai nove ai diciannove anni e ad ognuno darei consigli diversi. Figuriamoci a una intera generazione. Magari una preghiera: fateci fuori con grazia”.