Forte, tenace, attivo, sensibile: il pastore australiano è uno dei cani più amati e versatili che esistano. Questi piccoli cani blue partecipavano attivamente al lavoro nei ranch e colpirono tutti per la loro indole e il loro temperamento. Tendenzialmente diffidente e riservato, senza mai essere pauroso o aggressivo, ha un carattere e una versatilità che ben si adattano a qualsiasi tipo di vita/famiglia, purché gli si dedichi tempo di qualità e lo si stimoli a dovere con uscite, giochi, passeggiate. È un dolce compagno di giochi per i bambini, un valido braccio destro se si lavora con i cani, un instancabile lavoratore, adatto anche a supportare situazioni delicate come la disabilità. L’Australian Shepherd è una sorta di supereroe canino. Per scoprire di più su questa razza ci siamo rivolti a Simona Candita, che li alleva da più di un decennio. Il suo allevamento “EsterNice” è l’unico ad essere riconosciuto (ENCI/FCI) a Martina Franca, in provincia di Taranto, ed è mono-razza: ciò vuol dire che Simona si concentra solo ed esclusivamente sul Pastore Australiano e questo sottolinea il suo grande impegno. Infatti, ha partecipato a molti stage di obedience, per quanto riguarda il lato sportivo di un cane che nasce come cane da lavoro; stage su carattere e toelettatura con importanti giudici internazionali; seminai sull’alimentazione e corsi sulla genetica. Partecipa con i suoi cani a numerose esposizioni e ha ottenuto negli anni ottimi risultati.
Innanzitutto, come è nata la tua passione per i pastori australiani?
«Ero in expo con Ester, il mio primo cane e, anche se stavo valutando di interfacciarmi con razze come il Border Collie o lo Shetland, all’improvviso un Australian Shepherd redmerle mi passò davanti e mi tolse il fiato. Iniziai a studiare la razza e dopo qualche mese arrivò Nice, la mia prima Australian. Da quel momento mi sono innamorata perdutamente di questa razza così intelligente, empatica e sensibile tanto da decidere di iniziare ad allevarla».
Che origini ha questa razza e per quali funzioni veniva/viene utilizzata?
«Molto probabilmente nasce alla fine del 1800, quando i coloni europei emigrarono in America portando con sé le greggi e i loro cani da pastore. Si pensa che discendano, infatti, dai cani da Pastore provenienti dalla Germania o dalla regione basca. Erano cani impiegati nelle fattorie e nei ranch. Possiamo quindi dire che di “australiano” questi cani abbiano solo il nome, perché è una razza americana riconosciuta negli Stati Uniti solo nel 1957, anno in cui è stato creato l’Australian Shepherd Club of America, parliamo quindi di una razza molto giovane».
Gli Australian Shepherd fanno parte del gruppo 1, “Cani da pastore e bovari”; quale aspetto li distingue maggiormente rispetto ai famosi cugini Pastore tedesco, Pastore belga e Border collie?
«»Il mio primo cane è stato un Pastore Tedesco e ho Grace, la mia Border Collie, che ha 11 anni.
L’Australian è profondamente diverso da queste razze, anche per la selezione che è stata fatta. Lo trovo molto più empatico, sensibile e fedele nei confronti del proprietario: la chiave di tutto con lui è nel rapporto, se costruisci un bel rapporto è un tipo di cane che si toglie il cuore e te lo dà, per te farebbe qualsiasi cosa. Se allevato in modo consapevole, sa sempre come comportarsi in ogni situazione ed è un compagno di vita straordinario».
Quali possono essere i problemi di salute tipici di questa razza?
«Se ben selezionata, è una razza molto sana e rustica, senza gravi problemi di salute. I riproduttori devono essere testati per le patologie ereditarie. Infatti possono avere diversi tipi di oculopatie e problemi di origine neurologica. Si attuano dei test genetici, nonché visita oculistica ufficiale, le lastre anca/gomito per la displasia. Bisogna attendere l’età giusta per la riproduzione, sia perché i cani devono avere modo di raggiungere una buona maturità, sia per capire sia per capire se si manifestino alcune patologie non testabili. Bisogna studiare bene il pedigree perché sono presenti nella razza problemi di epilessia e ibd, patologie gravi per cui ci basa molto sulla serietà e le conoscenze/competenze degli allevatori perché non esistono test specifici che le individuino».
Quale contesto è più adatto ad accogliere un pastore australiano?
«È un cane che si adatta molto bene a tante situazioni: può essere un perfetto compagno di giochi per i bambini, è un cane con cui ci si diverte molto nelle attività e può essere un valido aiuto per chi con i cani ci lavora, dunque educatori, istruttori. La sua dolcezza, intelligenza e totale devozione per il proprietario lo rendono un cane molto camaleontico, a patto che abbia modo e tempo di incanalare le sue energie in qualcosa di positivo perché è un cane per persone dinamiche che possano offrirgli tempo di qualità e gli diano modo di sentirsi appagato».
Dal punto di vista educativo, cosa consiglieresti alle persone che hanno da poco acquistato, o vorrebbero farlo, un cucciolo di pastore australiano?
«È sicuramente indispensabile avere un cucciolo idoneo a quelle che sono le nostre esperienze/capacità, tanto parte da lì. Un allevatore serio e competente può ovviamente essere un’ottima guida e di certo l’ausilio di una puppy class (lezioni di gruppo con cuccioli e adulti equilibrati, volti alla socializzazione e al gioco) ben organizzata e di un educatore competente aiutano tantissimo».
Ci racconti un aneddoto a te caro?
«Son circa 12 anni che non posso più raccogliere nulla da terra senza ritrovarmi qualcuno di loro che mi lecca la faccia o che mi si strofina addosso, che ho dei cani di 20/25 kg con la “sindrome del carlino” (se mi siedo, mi si siedono in braccio come fossero chihuahua), che ogni volta che mi guardo intorno becco gli occhi innamorati di qualcuno di loro perché non fanno altro che cercare il mio sguardo. Con loro non puoi essere di cattivo umore perché, infilando il loro musetto sotto al tuo braccio, sanno sempre come farti sorridere o sentire la loro presenza. Sono cani straordinari che vivono una totale simbiosi con noi, è una gran fortuna poter condividere la vita con compagni così meravigliosi».
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni