Tante volte vi sarà capitato di guardare un edificio, un abito o un tappeto e pensare: “è affascinante, ha un che di orientale!”. Per noi occidentali “l’Orientali’s karma” sembra qualcosa di enormemente distante e parallelo rispetto al nostro modo di vivere, ma per qualcuno risulta imprescindibile da scoprire, e, a volte, anche da vivere. È un po’ quello che è successo a Sofia Tarasi, che, sin dai tempi del liceo, è rimasta folgorata dalla cultura cinese ed orientale in generale e oggi ci racconta il fascino dell’Est asiatico e perché non dovremmo averne paura, ma esserne attratti.
In quarta liceo, attraverso un programma scolastico di scambio, hai deciso di fuggire a Changzhou (Cina) per un intero anno. Da cosa è nato quest’interesse?
La mia decisione di partire per un anno all’estero è nata dall’esperienza di ospitalità che ho fatto con Intercultura, una ONLUS che si occupa di scambi tra studenti delle superiori in tutto il mondo. Poco prima di partire ho ospitato per un anno a casa mia, a Cosenza, una ragazza canadese e da lì ho deciso di fare la stessa esperienza. Ho scelto la Cina innanzitutto per curiosità, ero estremamente desiderosa di conoscere un paese così tanto lontano da noi di cui sappiamo poco e niente. Sono sempre stata attratta dall’Asia in generale, ma tra i tanti paesi la scelta è ricaduta sulla Cina anche perché volevo imparare il cinese, lingua oggi molto utile.
E come ti sei trovata lì?
Ho passato dieci mesi vivendo in una famiglia cinese e frequentando la scuola locale. All’inizio è stata dura, soprattutto per i primi tre mesi; poi però mi sono abituata. In generale è stata un’esperienza fantastica, che mi ha cambiato radicalmente. Ho imparato che il mondo è pieno di differenze e, come insegna Intercultura, niente è meglio o peggio, è solo diverso. La Cina è un paese immenso e meraviglioso da scoprire, solo che spesso sottovalutato e stereotipato da noi occidentali.
Quanto hai trovato le abitudini e lo stile di vita asiatico diversi da quelli italiani? Ci sono cose a cui non hai fatto alcuna fatica ad abituarti ed altre che hai trovato particolarmente strane?
Le abitudini cinesi sono completamente diverse dalle nostre; molto simile, invece, è il concetto di famiglia, che per la cultura cinese è essenziale. Per esempio, in casa mia venivano ogni giorno i nonni paterni a cucinare, prendersi cura della casa e ogni sera cenavamo tutti insieme. Il weekend invece si andavano a trovare i nonni materni che abitavano dall’altro lato della città (Changzhou seppur considerata piccola per la Cina, conta 6 milioni di abitanti ed è immensa).
La cosa a cui ho fatto più fatica ad abituarmi sono stati i ritmi scolastici: la scuola in Cina inizia alle 7 di mattina e finisce alle 17 e spesso gli studenti cinesi si fermano a studiare fino alle 21, la maggior parte vive nei dormitori della scuola e torna a casa solo il fine settimana.
Inoltre, il modo di approcciarsi, sia tra amici che tra familiari, è molto diverso, molto più “distaccato” rispetto a quello a cui siamo abituati noi italiani (soprattutto del Sud). Bisogna semplicemente abituarsi ad un modo diverso di mostrare l’affetto. Ad esempio, i miei genitori cinesi non mi hanno mai detto niente di carino, non mi hanno abbracciato nemmeno quando me ne sono andata, ma quando sono tornata a trovarli tre anni dopo mio papà cinese mi ha accolto dicendo “bentornata a casa” e lì ho capito che dopo tutto si erano affezionati a me.
All’università hai scelto lingue orientali alla Ca’ Foscari di Venezia: quanto i tuoi studi hanno influito sugli ulteriori viaggi che hai intrapreso nel corso della carriera accademica?
I miei studi hanno influito tantissimo. Grazie a ciò che studio sono riuscita a tornare in Cina due volte, la prima per un tirocinio come insegnante di italiano in una scuola superiore di Hangzhou, provincia del Zhejiang, la seconda volta per un semestre da studente alla Renmin University di Pechino.
Hai appena lasciato Yangon (Myanmar, meglio conosciuto come Birmania) dove hai svolto un tirocinio trimestrale presso l’Ambasciata italiana. Com’è stata quest’esperienza?
La mia esperienza in Myanmar è stata fantastica. È molto diverso dalla Cina, seppur per qualche aspetto influenzato dalla cultura cinese, vista la vicinanza geografica. È uno dei paesi più poveri del mondo ed ha vissuto decenni di chiusura e regime militare, fino all’apertura nel 2011. Il Myanmar è un paese interessantissimo perché sta attraversando un delicato processo di transizione democratica e allo stesso tempo, essendosi aperto da poco, è ancora poco “contaminato” dall’Occidente e conserva molte delle sue tradizioni.
Descrivere brevemente il Myanmar è molto difficile, penso che per comprenderlo a pieno bisognerebbe visitarlo. Direi che la cosa che mi ha colpito subito, sin dal panorama dall’aereo, è stata l’enorme quantità di Stupa (monumenti religiosi) dorati. Infatti, il buddhismo ha un ruolo fondamentale in Myanmar e si capisce dalla quantità di monaci che camminano per strada, soprattutto la mattina quando fanno il giro delle case per raccogliere il cibo donato dalle famiglie. La maggior parte della gente è vestita con abiti tradizionali (longyi) e si trucca con il tanaka (un pastone bianco ottenuto dalla corteccia dell’albero di Tanaka mischiato con acqua). Ma quello che colpisce l’occidentale in Myanmar sono i sorrisi della gente, per strada, al ristorante, tutti ti guardano e ti sorridono.
Consiglieresti ad un tuo coetaneo di andare a studiare o a lavorare in Asia?
Assolutamente sì. L’Asia può essere difficile e non è da tutti, soprattutto il Sud-Est Asiatico. Vivere in Asia è una sfida quotidiana e bisogna essere flessibili su molte cose. È difficile perché è tutto completamente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati e spesso si rimane colpiti, quasi turbati, dalle enormi contraddizioni di queste economie in crescita. Ciononostante, trovo che l’Asia sia un posto estremamente interessante in cui vivere e pieno di diverse opportunità di impiego, nonché occasioni di crescita personale.
Ecco il mio consiglio: siate curiosi, non abbiate paura di provare tutto quello che il paese vi offre, mischiatevi con la cultura locale. Ma soprattutto, non cercate l’Europa o l’Italia in Asia perché non la troverete, ed è proprio questo il bello.
Ora che sei tornata in Italia e devi fare i conti col post-lauream, i tuoi progetti guardano verso terre lontane o hai intenzione di giocare in casa?
Sicuramente ancora per qualche anno mi piacerebbe sperimentare la vita in altri luoghi, magari iniziare a lavorare nel ramo della cooperazione internazionale in paesi come il Myanmar, ricchi di opportunità in questo campo. Non mi dispiacerebbe neanche continuare gli studi con un Master in Europa. Purtroppo, l’Italia al momento non è tra i miei piani, ma chi lo sa!