È il 2021 e il Comitato Olimpico Internazionale cambia il motto latino dell’evento, infatti a “Citius, Altius, Fortius” che in latino vuol dire “Più veloce, più in alto, più forte” è stato aggiunto Communiter, ossia “Insieme”. A detta del CIO, vuole essere un modo per riconoscere il valore unificante dello sport e l’importanza della solidarietà.
Tuttavia, l’intento di unire mai come in questo periodo non può essere più lontano. Piccole “polemiche”, apparentemente superficiali ma pressanti, ci mostrano un mondo che nel concetto di insieme intende uniformare, rifiutando le differenze che le culture e una società in continua evoluzione contengono.
Quando Naomi Osaka ha alzato la torcia olimpica in quanto rappresentante di questa edizione dei Giochi e del Giappone, non si è colto l’apporto rivoluzionario della scelta. Da stimata e pluripremiata atleta, la tennista giapponese negli ultimi mesi ha fatto discutere per la scelta di sottrarsi alla prassi promozionale dell’evento per tutelare la propria salute mentale, un aspetto delle competizioni che non bisogna dare per scontato. Se il corpo è sano, anche la mente deve esserlo, a prescindere dal livello di ricchezza, fama e opportunità che ci vengono date.
Recentemente, inoltre, si è parlato dell’abbigliamento delle atlete; cuffie create appositamente per contenere i capelli afro – notoriamente più voluminosi degli altri tipi – sono state rifiutate dalla Fina per i giochi olimpici. Ma si è parlato anche di atlete bianche.
L’idea che il corpo femminile esista solo per essere sessualizzato non è un’invenzione del femminismo, ma un dato di fatto, specie se si guarda alla vicenda della squadra di pallamano norvegese, costretta a giocare in scomodi bikini dalla Federazione del loro Paese, che si è permessa anche di multare le giocatrici quando hanno preferito indossare dei comodi pantaloncini, come d’altronde già fa la squadra maschile senza la prestazione ne sia inficiata.
Se le Olimpiadi vogliono unire, che intendano tutti o rimarrà nessuno.