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Noi figli di nessuno

Diciannove anni, una valigia sul marciapiede, i tuoi genitori in lacrime che ti salutano da lontano e i tuoi amici che ti scrivono messaggi spezza cuore per dirti che la distanza separa i corpi ma non i cuori.
Un biglietto in mano per una meta conosciuta e un futuro incerto, è cosi che inizia l’esperienza di noi fuori sede.

Lacrime e curiosità, fiumi di lacrime e curiosità, voglia di mettersi in gioco, voglia di conoscere e paura di sbagliare.

Così, il primo giorno di lezione ti trovi in un’aula affollata e grande, cosi grande da farti sentire piccolo ma soprattutto solo. Tra i banchi scorci già il viso che ti sembra più simpatico, ma vedi che è circondato da un gruppo di amici, e allora con un’altra occhiata cerchi un altro figlio di una terra lontana, che si guarda intorno e scegli di sederti accanto a lui.

In quel momento pensi che unire la solitudine sia un ottimo modo per sconfiggerla e forse l’unico.

Da quel momento inizi a costruire il primo tassello di quella che diventerà la tua seconda casa, ma specialmente la tua seconda vita. Pian piano riesci a capire che le amicizie possono nascere anche da “adulti” e con persone che non avresti mai pensato riuscissero a scalare la vetta del tuo cuore.

Iniziano gli esami, le prime soddisfazioni e a volte anche le prime delusioni, passa il tempo e riesci a sentire quelle vie dai nomi sconosciuti fino a qualche mese prima, sempre più tue. Posi google maps, ed inizi a salutare le prime persone per strada e questo ti sembrerà assurdo, perché significherà che avrai conosciuto qualcuno in più del tuo dirimpettaio e del fruttivendolo. 

I libri che posi nella tua libreria come trofei dopo un esame, iniziano ad aumentare e scandiscono la tua crescita. Tra un libro e un altro, senti parlare dell’erasmus, ti incuriosisci e pensi di farlo, tanto sei già stato in erasmus una volta dal sud al nord. Così inizi a capire che si può ricominciare ovunque, che qualsiasi stanza in affitto può diventare casa, e che qualsiasi conoscente può diventare amico.

Crescendo comici a capire l’importanza del tuo lavoro odierno per il tuo futuro, quindi inizi a pensare in che modo tu possa diversificare il tuo curriculum; e li si parte con stage (ovviamente non retribuiti) e tirocini, per non parlare della media ponderata fondamentale da mantenere, perché “devo laurearmi con un buon voto”.

Anni e anni di sacrifici iniziati con il rammarico di lasciare la tua terra e terminati con la tanto agognata tesi per poi avere l’impatto con la realtà.

L’Italia non è il posto dove la meritocrazia vince, non è il posto dove il tuo curriculum potrà valere qualcosa.

L’Italia è il Paese delle conoscenze e delle raccomandazioni, dove gli eccellenti possono sperare di essere notati da qualche povero onesto disgraziato, ma per gli altri non c’è posto, non c’è spazio, c’è solo da accontentarsi.

Per cui, dopo centinaia di e-mail, alle quali non si ricevono risposte, infinite chiamate e tour di tutti le aziende e gli studi della città, arriva la rassegnazione che si sposa perfettamente con l’accontentarsi.

Anni di studio, esperienze all’estero, tirocini e sacrifici non sono serviti a nulla, perché la differenza sarebbe stata fatta solo dalle conoscenze tue o della tua famiglia.

Eh sì, ci sono le eccezioni, ma il problema nasce quando non sei tu l’eccezione che conferma la regola e quindi l’unica cosa che ti resta e provare a fare l’erasmus della vita andando via non più come a diciannove anni dalla tua città ma dal tuo Paese, dall’Italia.

Alla ricerca di un posto che possa valorizzarci per ciò che siamo e non per il cognome che portiamo o per l’amico che scegliamo.

Inizia in questo modo la fuga dei cervelli tanto scongiurata dalla politica odierna ma poco fronteggiata.

E se ad alcuni il problema sembra quello di lasciare un Italia migliore ai nostri figli, per me, il problema è: dare un Italia migliore anche ai nostri padri che restano figli di un Italia fatta di corsie preferenziale, e per lo più bloccati non solo dal sistema, negli avanzi di carriera, ma anche dai che compromessi che non hanno accettato.

L’Italia conta uno dei tassi di disoccupazione più alto d’Europa e nessuno pensa a ribellarsi a questo opprimente sistema, ma solo a scappare, il più possibile lontano, o a diventare uno tra i molti che si rassegnano al reddito di cittadinanza senza più cercare occupazione.

Prima ci si accorgerà che classi dirigenziali e professionali frutto di raccomandazioni, sono il cancro di questo Paese, prima l’Italia diventerà un porto di approdo e non un luogo dal quale andarsene.

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