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Matteo Renzi – Avventure semiserie di un ragazzo Premier

 

                          di Filippo Picinelli

Matteo Renzi. Dal 17 febbraio 2014 questo nome è stato ripetuto, iterato e ribadito fino allo sfinimento: sono state scritte e pronunciate così tante parole su questo personaggio che il nostro nuovo blog non poteva rimanere indietro. Qui di seguito non si esprimerà un giudizio giudizio politico sul Presidente del Consiglio – e neanche opinioni riguardo riforma del Senato o della Pubblica Amministrazione, almeno non prima che siano (se mai saranno) pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. La domanda che ci facciamo, da preludio a una serie di riflessioni, è: fino a che punto Matteo Renzi ha veramente rischiato quando ha accettato l’incarico di formare il governo? Tutto lo “storytelling” delle sue campagne elettorali si è basato su una costante: il giovane che si mette a giocare ad un gioco pericoloso, dominato da squali nati e cresciuti tra coloro che ne scrissero le regole (quando non erano proprio quest’ultimi), finendo, cosa incredibile ma vera, per vincere. Almeno stando al suo ufficio stampa. Non fraintendetemi: la sua ascesa ha dell’incredibile. Infatti, in un sistema che nel 2006 vede Giulio Andreotti (proprio lui), col suo voto da senatore a vita, essere decisivo riguardo le sorti del Governo Prodi e con un Presidente della Repubblica ottuagenario, un trentenne che riesce a mettere in scacco l’intera classe politica della sinistra, compresa quella volpe di D’Alema, e da Presidente del Consiglio tenere per i gioielli di famiglia il centro-destra, cioè l’ex Cav. Silvio Berlusconi da Arcore, non è un fatto di poco conto. Se Matteo Renzi ha un merito è questo: aver imparato molto bene le regole del gioco, e vincere. Si vedrà ora se riuscirà a cambiarle anche queste dannate regole. Ma è tutta farina del suo sacco? No. La sua presa di Palazzo Chigi è frutto sostanzialmente di un accordo a tre (nei fatti diciamo, non siamo complottisti). Il primo di questi triunviri è sicuramente Giorgio Napolitano: il nostro Presidente della Repubblica, che comincia a non avere più l’età, vorrebbe farsi da parte ma è diventato lo scudo di mezzo parlamento e fino a che non ci sarà un governo abbastanza solido non gli è consentito di lasciare.

L’inquilino del Quirinale ci aveva provato con Letta, obbligando sinistra e destra a ingoiare il rospo e fare un governo di larghe intese (tanto il rodaggio era già stato fatto con Monti), ma i partiti lo hanno rigettato come fosse un organo trapiantato. Il secondo è Berlusconi: mutilato dalle sentenze, senza troppe prospettive data l’età, con la sua reale capacità di produrre riforme ormai testata e trovata mancante, non gli restava che trovare un modo di tirare a campare mentre cercava una soluzione ai problemi suoi, del partito, del Milan e delle aziende. Il terzo è proprio Matteo Renzi che ha fatto in modo di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Il vero segreto del suo salto da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi è Grillo. Infatti il comico genovese, con la sua intransigenza molesta, ha raccolto tanti consensi da essere un interlocutore potenziale ma allo stesso tempo non ne ha abbastanza per avere potere di veto. Non ha accettato di governare con Bersani e si è messo alla porta in attesa che l’esasperato correntismo blocchi ancora una volta le riforme. Questo gioco gli stava anche riuscendo: Letta era paralizzato, il Pd stava esplodendo sotto la guida di un segretario di comodo e senza potere effettivo mentre Berlusconi, trasformatosi in una trottola impazzita, annunciava un giorno la propria fiducia nell’esecutivo e il giorno dopo gli presentava la mozione di sfiducia. Poi però Renzi vince le primarie e diventa segretario del Partito Democratico, con una percentuale tale (67,55 %) da non lasciare adito a dubbi riguardo la sua leadership. Nel frattempo i sondaggi, che grazie a Berlusconi e Grillo ormai valgono tanto quanto i risultati delle elezioni, davano l’ex sindaco come unico Presidente del Consiglio con una “potenziale” vera legittimazione popolare. Quindi ecco la magia: il Pd sfiducia il governo nella sua direzione nazionale, Berlusconi fa il reticente ma salta sul carro, Alfano fa quello che sa fare meglio e Grillo sbraita. Napolitano consegna nelle mani di Renzi il governo praticamente dicendo: “adesso pedala perché se no indico le elezioni e il guitto vi fa fuori”. Dunque in tutto questo dove sta il rischio? Renzi voleva arrivare li, non ha fatto qualcosa che non avesse desiderato. Non rischia di bruciarsi, in fondo Presidente del Consiglio lo è diventato senza elezione: non ha rischiato di perderle. Ora tenta di rifarsi vincendo le europee, ma pensandoci bene avrebbe corso rischi ben maggiori se fosse rimasto semplice segretario. In più, anche ammesso che le perda, durante le prossime elezioni probabilmente ci saranno molti malumori, fronde, un voto di sfiducia che però non conterà nella: lui rimane l’unica alternativa a Grillo, quindi tutti rimarranno sul suo carro nei fatti. Bisogna ricordare che Bersani le primarie del 2012 le vinse con il 60,9 % e non perse le politiche, ma ora politicamente non esiste più. Quindi vittorie elettorale o meno i danni possono sempre essere contenuti.

 

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