Nella lista di “cose che avrei dovuto fare e leggere, ma…” avanza fieramente una raccolta di racconti 100% Made in Italy.
Ah, le raccolte di racconti! Quelle che all’inizio si detestano – vuoi mettere leggere una storia di carta dall’inizio alla fine? – ma dopo il primo racconto, si sbircia la storia successiva, se ne inizia una nuova, e poi… immaginate l’inquietudine del primo capitolo trasportarvi in un libro intero.
Oggi vi parlo della prima raccolta di racconti di un Paolo Cognetti, 26enne, matematico e alpinista: Manuale per ragazze di successo, libro che segnerà il suo esordio letterario.
7 racconti per sette donne notevoli, catapultate nella mia Milano, dalla circonvallazione, “il bordo senza musica del disco, su cui una puntina incantata potrebbe continuare a gracchiare all’infinito”, alle periferie, gli aeroporti intorno e gli autogrill di fine estate: i luoghi di confine.
Voci fuori campo, a volte lei, talvolta lui, ci guidano furtivamente nella metropoli, facendosi spazio fra rivoluzioni personali di pensieri femminili che si rivelano lentamente e inconsapevolmente i nostri.
“Siamo cresciute negli anni Novanta, noi, coscientemente adulte e istintivamente femminili, sobrie nel vestire, ironiche e autoironiche. Da piccole abbiamo visto la pubblicità progresso, e ora, da grandi, diffidiamo dei rapporti occasionali. Siamo monogame e realizzate, sappiamo amare, lavorare, cucinare. Siamo il Modello Femminile Dominante, la fine del dibattito sulla condizione della donna.”
Non credono in realtà a questo slogan dei tempi moderni, le donne di Cognetti, non hanno avuto scelta; perciò, non rimane che indossare ruoli patinati e snelli, su di un palcoscenico popolato da personaggi secondari e uomini sbiaditi.
Donne e uomini affondati in relazioni convalescenti, recitano in una scenografia comune, quella della Milàno precaria dei primi anni 2000, delle agenzie pubblicitarie, degli aperitivi a lume di crisi finanziaria e PR da combattimento.
“Milano viveva di economia e comunicazione, e la pubblicità era il nodo indissolubile tra queste sue anime: era l’architrave del sistema, e se la nostra città avesse avuto vene e arterie, il cuore sarebbe stato lì, seduto al tavolo del brain-storming a vendere felicità e pannolini.”
Donne ad un bivio, dove le loro strade sono libere di svoltare in qualsiasi direzione, qualsiasi. Scompongono i propri rituali quotidiani e ne smontano i tasselli, con precisione ingegneristica, in un silenzio profondo che sembra voler fare da colonna sonora all’intera raccolta.
I racconti finiscono e con loro ad ogni capitolo, anche le relazioni su carta, in maniera sterile senza troppi giri di mani o sentimenti.
Le attrici, “le ragazze di successo”, conducono le danze e si fondono con l’incalzare delle loro storie di autodistruzione.
C’è Lei che, esausta, appoggia i piedi nudi sul cruscotto di un’auto durante l’ultimo viaggio di una relazione già interrotta; Sara, brillante fotoreporter, iperfocalizzata sulla propria carriera a tal punto da non accorgersi del tradimento del proprio compagno; Bet, la miglior dipendente dell’Autogrill di Modena Nord, impigliata da anni in una relazione che non le somiglia più; Maia, una famiglia decadente sullo sfondo e un’amicizia ambigua vissuta a bordo della circonvallazione Milanese; una Giovane Ereditiera con la propria compagna alla vigilia del suo 25esimo compleanno riscatta le sorti di un agriturismo familiare; una Pubblicitaria esordiente nasconde una gravidanza solitaria che dovrà decidere come gestire. “Non avrà la televisione almeno fino a dieci anni. Poi non potrò fare più niente per lei.”
E infine Diana, ultimo capitolo, andata via di casa troppo presto, un lavoro all’ufficio bagagli smarriti, ci sussurra di nascosto che:
“Se c’è qualcosa di buono, è che ogni vita perdente è una storia.”
E ad un tratto tutti i personaggi dei racconti sembrano prender forma, uno ad uno, li vedo avanzare a passo lento sul palcoscenico del mio soggiorno, volgere un timido saluto al pubblico lettore e prendere il largo.
Ecco. Io, Manuale per ragazze di successo, vorrei interpretarlo a modo mio, e invertirne il senso di marcia.
In un racconto dominato da donne intense, vorrei rivolgere un ultimo generoso e genuino applauso agli uomini, ai matematici, come Paolo Cognetti. Gli uomini scientifici, che sanno analizzare le donne, osservarle, in silenzio e in disparte, come in questo libro, come Nicola, primo attore in ordine di comparsa:
“È che ti concentri troppo per trovare il centro di tutto, e va a finire che ne perdi il contorno.
Credi che poter capire a fondo qualcosa devi cercare il senso, individuare la natura del problema. Butti via tutto il resto, e che ne rimane?
Il senso è quasi sempre qualcosa di incomprensibile. Oppure è così piccolo che non si vede.
Il contorno dice molto di più.”
Nicola parla alle donne, così intente a scandagliare le loro relazioni umane “con l’occhio cinico di un demolitore” fino al più impercettibile frammento. Se fosse vero? E se, troppo concentrate a rendere la nostra vita un’impresa eccezionale, ci fossimo dimenticate sul serio dei sottilissimi “contorni delle cose”?
Un libro da quarantena non può che concludersi così, con un’irrefrenabile voglia di levare l’ancora da questo divano letto, per raggiungere il punto esatto in cui si scoprono le linee di contorno, i margini indefiniti, quelli perduti fin qui.
“Io ho appoggiato le mie cose sul letto. Avevo i sacchi neri per la roba da buttare e gli scatoloni per tutto il resto. Ho dato un morso a una mela studiando i muri della stanza con l’occhio cinico di un demolitore, poi mi sono legata i capelli e ho pensato: provate a fermarmi.”