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“MA CHIEDILO A KURT COBAIN” – PT.2

La dimensione umana di Kurt Cobain

Quando si parla di “miti” della musica, di “icone” del cinema o della letteratura, molto spesso ci si dimentica dell’essere umano che vive dietro a quel mito. Ho guardato “Montage of Heck” ed ho visto per la prima volta la dimensione umana di Kurt Cobain. Al di là del mito e delle canzoni.

Montage of Heck- L’inizio

Spente le luci di una sala semivuota del cinema è iniziato un viaggio dentro la vita reale di Kurt, una storia per niente banale e scontata che mi ha tenuto incollato allo schermo per due ore, due ore intense, intime. Poteva essere l’ennesima storiella “Nirvana-Courtney-suicidio”, invece non lo è stata. Si tratta di una storia che non si limita a romanzare sul fascino di una rockstar suicida e sulla sua vita sregolata…non romanza neanche troppo sulla storia d’amore con Courtney Love. Si parla di umiliazione, frustrazione, erba e siringhe, canzoni dallo stomaco, sesso e fama, sentirsi accettati…una storia incentrata sulla “famiglia”, e sul desiderio di una famiglia sana, che non toglie spazio all’amore e alla musica.

“Era un bambino speciale”, racconta la madre nella prima intervista, mentre scorrono le immagini di un Kurt bambino, una calamita che attirava l’attenzione di tutti. Un bambino vivace, forse troppo, che odiava essere umiliato. Quando aveva nove anni, a seguito del divorzio dei genitori, iniziò il via vai.

Il divorzio era ancora troppo difficile da digerire / concepire e in un certo senso la vera storia del Kurt “ribelle” inizia da questo punto. Andò a vivere col padre e la matrigna, ma non era al suo posto, nessun posto era quello giusto, venne rispedito dalla madre, poi dai nonni, poi da altri parenti. L’essere continuamente rifiutato, cacciato via, sballottato, trovò il giusto sfogo nella marijuana, e nel punk-rock scoperto in un piccolo negozio di dischi ad Aberdeen.

Il personaggio di Kurt

Un giovane ribelle, come tanti, che ha trovato il giusto modo di farsi ascoltare e di raccontarsi attraverso la sua musica, diventando così l’icona di una generazione in rivolta. I Nirvana sbucano quasi dal nulla e il successo improvviso rischia di diventare un altro buco nero apparentemente senza via d’uscita.Kurt Cobain odiava il successo, odiava le interviste e le complesse macchinazioni dei media sulla sua vita. Necessitava una nuova via di fuga. Scelse l’eroina.

Ad un certo punto, nel documentario, contornato da fantastiche animazioni dei suoi disegni, ci si ritrova immersi nella più profonda intimità di casa Cobain; numerose scene di Kurt e Courtney sempre nudi o seminudi, sempre fatti. Lo sballo prende il sopravvento e gli spezzoni con la piccola Francis Cobain appena nata, figlia di un “amore tossico” (nulla a che fare col film di Caligari se non per quanto riguarda l’eroina) sono quasi imbarazzanti, nonostante si legga l’amore di padre negli occhi di Kurt, mentre la parola “famiglia” torna ad avere senso.

Immagini davvero forti e toccanti come quella in cui si vede Kurt, il mito, leader dei Nirvana, portavoce di una generazione, nella sua più totale fragilità, con le dita tremolanti mentre fuma una sigaretta, strafatto di eroina mentre scappa da un destino che lo ha prima emarginato e poi portato ai primi posti in classifica, nell’olimpo della musica.

Un documentario davvero ben riuscito, grazie anche alle ricostruzioni animate che ritraggono il giovane Kurt nelle scene più importanti della sua adolescenza, toccante per certi, molti, versi. Struggente nel complesso…

Una fuga continua…lo si avverte fin dall’inizio del film, lo si legge nei suoi appunti che scorrono mentre di sottofondo la sua musica ti tranquillizza… e ti fa battere i piedi. La musica dei Nirvana, il “Montage of Heck” registrato su cassetta da Cobain (e dal quale prende il titolo il film), canzoni dallo stomaco, una musica di rabbia, la più vera di sempre…la musica “l’unica cosa che conta”.

Un  piccolo estratto del film

https://www.youtube.com/watch?v=4v7n22XkuPA

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